Il Delirio dell'Arcobaleno

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    Capitolo 6.

    Era una serata fresca, la prima che trascorsero a Jerez de la Frontera, luogo in cui avrebbero passato due settimane, una di test, una in preparazione dello “Spanish Double Grand Prix”, che si sarebbe svolto nel primo weekend di aprile.
    Koji trovava ridicola la definizione, ma non spettava a lui né stabilire i nomi degli eventi, né tantomeno stilare il calendario, che gli appariva piuttosto degradante.
    Quell’anno avrebbero visitato dieci circuiti e, in cinque degli stessi, si sarebbe tenuto un doppio evento. Era da ormai alcuni anni che quella pratica era ricorrente - d’altronde la Golden League era volta al risparmio e, purtroppo, il nuovo C.E.O., in carica da quattro anni, aveva meno capacità di contrattare, rispetto a quello precedente - ma non era mai capitato che ben cinque gran premi fossero costituiti da doppie qualifiche e doppia gara.
    I tifosi, almeno, non sembravano particolarmente infastiditi. C’era chi si lamentava ancora dell’assenza di circuiti storici usciti di scena già da molto tempo e addirittura chi criticava il fatto che fossero usciti dal calendario anche alcuni circuiti moderni, a loro tempo ritenuti un “insulto al vero automobilismo”, qualunque fosse il senso di quel termine. C’era chi aveva qualcosa da ridire, e sempre ci sarebbe stato, ma la grande maggioranza degli appassionati si accontentava con poco aveva finito per tirare un sospiro di sollievo nel momento in cui sia la Scuderia Moretti sia il Team Athena avevano garantito la loro presenza per la stagione 20**.
    C’era stato il rischio che anche quelle due squadre, destinate ad essere i fanalini di coda del campionato, chiudessero i battenti. In tal caso, i team partecipanti al campionato che si apprestava a iniziare, sarebbero stati soltanto sei, con un totale di dodici piloti, ai quali si aggiungevano sei “riserve”, anche se definire riserve i terzi piloti era ormai anacronismo.
    Anche con otto squadre, sedici monoposto al via sarebbero state troppo poche quindi le terze vetture non sarebbero scese in pista soltanto durante i test e durante le sessioni di prove libere, quell’anno, ma anche durante i gran premi.
    Il sistema di prequalifiche e qualifiche appena approvato dalla Federazione prevedeva che gli otto terzi piloti prendessero parte a una sessione di un’ora, al giovedì pomeriggio, dalla quale i sei più veloci avrebbero conquistato la possibilità di qualificarsi per la gara (o, nel caso di doppio evento, per entrambe le gare).
    L’ammissione alle qualifiche non comportava la matematica certezza di conquistarsi un posto sulla griglia di partenza: su ventidue piloti che vi avrebbero preso parte, soltanto venti avrebbero avuto quell’onore. Era facilmente prevedibile che i terzi piloti di team di un certo livello avrebbero potuto tranquillamente spodestare qualcuna delle Moretti o delle Athena di turno, rendendo ancora più difficili le cose per le squadre più in difficoltà.
    Moretti e Athena rientravano a tutti gli effetti sotto quella definizione: in quel giorno a Jerez, in cui gli altri sei team avevano presentato le loro monoposto e, se ancora non l’avevano fatto, ufficializzato i loro piloti per la stagione 20**, le ultime due squadre non si erano fatte vedere. Avevano chiesto - e ottenuto - di potere saltare i test ufficiali di Jerez e di fare il proprio esordio direttamente la settimana successiva.
    Di loro nessuno aveva parlato, quel giorno. Concordavano tutti che, davanti al resto del mondo, bisognava continuare a interpretare la parte di chi non ha problemi. La Scuderia Moretti e il Team Athena non c’erano... pazienza, prima o poi sarebbero arrivati e, se non fossero arrivati, qualcuno dall’alto avrebbe pagato sottobanco parte dei loro debiti per tenerli in vita.
    Inoltre, siccome le altre serie avevano una facciata ben più appariscente, per completare l’opera era stata organizzata una festa, rigorosamente low-cost, in teoria per celebrare l’inizio della stagione, in pratica per far sì che, pubblicando sui social network fotografie o brevi videoclip dell’evento, ci fosse la possibilità di dare alla Golden League quell’aura glamour che da anni non riusciva più a mostrare.
    L’evento consisteva in gran parte in un raduno nel paddock in cui team principal, piloti, ingegneri e meccanici che, indossando t-shirt o felpe con bene in vista gli sponsor delle proprie squadre, bevevano energy-drink dai colori improbabili, con un sottofondo musicale. Il deejay dell’evento era nientemeno che Gabriel Aruya, terzo pilota del team Rayo Fatal, che secondo le malelingue se la cavava meglio alla consolle piuttosto che al volante.
    Per quanto riguardava Koji, era stato scelto dal team come reporter dell’evento. Gli avevano dato l’incarico scattare fotografie e di girare qualche video non particolarmente cretino, che sarebbe stato pubblicato sui profili ufficiali della squadra su tutti i social network possibili.
    Gli avevano messo al seguito Grace, evidentemente giudicandolo incapace di capire da sé che cosa fosse “non particolarmente cretino”, quindi accettabile per fare bella figura davanti al mondo.
    Koji si stupiva soltanto che non fosse stato indetto un concorso per far votare ai fan quale squadra avesse condiviso i filmati più belli, ma si guardava bene dall’esternare quel pensiero ad alta voce. Era certo che, se avesse osato fare una simile osservazione, qualcuno l’avrebbe preso in parola, dando vita a un’ulteriore pagliacciata.
    «Allora?» gli domandò Grace, al suo fianco, proprio quando tutto lasciava pensare che Gabriel avesse innalzato il volume della musica. «Sei pronto per dare il meglio di te come fotografo? C’è molta gente che merita di essere immortalata.»
    «Magari in un video.»
    «Perché proprio in un video? Non è meglio fare qualche foto?»
    «Non voglio fare la parte del giapponese stereotipato che scatta fotografie» ribatté Koji, iniziando a registrare un filmato. «Lì in un angolo, per i fatti suoi, c’è Erik Novak, campione in carica della Golden League, intento a tracannare una lattina di Sparks come se fosse vodka.» Koji chiamò il collega a gran voce. «Ehi, Novak!» Erik alzò lo sguardo, rovesciandosi inavvertitamente parte del contenuto della lattina sulla felpa di colore blu elettrico, colore storico del team Phoenix. «Come mai te ne stai lì da solo invece di stare attaccato alla gonna della tua addetta stampa?»
    Erik gli strizzò un occhio.
    «Perché Camilla oggi non ha la gonna.»
    Non doveva essersi accorto che Koji lo stava immortalando, altrimenti non avrebbe mai pronunciato una simile affermazione: lui era Erik Novak, il trionfatore impassibile, quello che non si lasciava mai andare a una sola parola fuori luogo.
    Non che apprezzare Camilla Winterport fosse fuori luogo, ma non era un comportamento tipico né di Novak, né di nessuno dei membri del team Phoenix: loro erano quelli perfetti, che emanavano un’aura di superiorità e, in quanto tali, erano intoccabili, perfino Shane Willis, che aveva ancora la reputazione da ultimo arrivato.
    Nelle fotografie della presentazione della vettura della squadra austriaca, che erano girate sui social network, Willis aveva proprio quell’aria.
    “Chissà a cosa stava pensando, in quel momento. Spero che almeno lui non stesse perdendo tempo a farsi delle fantasie sulla gonna di Camilla.”
    A Koji sarebbe piaciuto chiederglielo, ma di Shane non si vedeva nemmeno l’ombra.

    ***

    Una volta sollevato il velo che copriva la vettura, non c’era molto altro da fare: bastava mettersi in posa, accennare un lieve sorriso e farsi fotografare. Non era più come ai vecchi tempi, in cui le squadre organizzavano interminabili presentazioni presso le loro sedi ufficiali, con tanto di discorsi strappalacrime che duravano almeno mezz’ora.
    Shane si riteneva fortunato di non essere arrivato nella massima serie in quelli che per lui erano tempi antichi. Parlare durante un evento ufficiale non gli piaceva.
    “E non mi piace soprattutto adesso, che potrei sentirmi rivolgere domande imbarazzanti.”
    I giornalisti ai quali aveva consentito di avvicinarsi un po’ troppo gliene avevano già poste, di recenti: “credi di meritare il team Phoenix, dopo i fatti di Sepang?” o “che effetto ti fa essere stato battuto da una donna?” erano quelle che andavano per la maggiore.
    Erano domande alle quali Shane preferiva non rispondere.
    Meritava di guidare la meravigliosa monoposto blu elettrico che lui e i suoi colleghi avevano appena mostrato al mondo? Certo che sì.
    Meritava un ruolo come titolare, mentre Juan Suarez, il messicano proveniente dal team Sparks avrebbe dovuto accontentarsi di un ruolo di terzo pilota? Molto probabilmente sì. Suarez era sempre stato ottimo, ma non aveva mai mostrato di essere superiore alla media. Inoltre con il nuovo regolamento avrebbe potuto tranquillamente essere in grado di qualificarsi per tutti i gran premi. Forse, in quel modo, si sarebbe messo in mostra ancora più di quanto non potessero fare lui o lo stesso Novak.
    Lo infastidiva il fatto che una donna avesse vinto il titolo, in Silver League, al termine della stagione precedente? Certo che sì, ma non perché Caroline Parker fosse una donna.
    “Ero io a meritare quel titolo, non Caroline.”
    Se solo Gabriel non avesse fatto il coglione, non sarebbero arrivati a quel punto. Shane, però, aveva perso le speranze: c’erano piloti come Gabriel che erano nati per fare i coglioni nel momento meno opportuno.
    Anche quella era un’affermazione che, in un evento ufficiale, sarebbe stata del tutto inappropriata.
    Shane era molto soddisfatto di non dovere fare altro che sorridere... ma non troppo, perché loro erano i principali candidati al titolo e non certo i buffoni del paddock.
    Chissà, forse negli scatti ufficiali avrebbe avuto un’aria troppo pensierosa.
    Andava bene?
    Era un problema?
    Magari non se ne sarebbe accorto nessuno: l’occhio non poteva fare altro che cadere sulla splendida vettura.
    Non era solo bella, ma c’erano buone probabilità che fosse la più veloce del lotto. Bastava poco, a Shane, per dimenticare di essere stato, durante l’infanzia e l’adolescenza, un tifoso incallito del team Vega, acerrimo avversario della squadra di cui stava vestendo i colori.

    ***

    «Oh, ecco che si avvicina Karl!» esclamò Koji, «Un altro che, come Erik, non sorride mai, almeno quando è in pubblico.»
    «Spegni quell’aggeggio» lo pregò Erik Novak. «Non credo che a qualcuno interessi vedermi mentre mi sbrodolo la maglia come un bambino.»
    «I bambini non bevono Sparks» replicò Koji. «Troppi zuccheri e troppa caffeina. Gli energy-drink non vanno bene per i bambini. Comunque è meglio che sia stato tu a sporcarti, piuttosto che qualcuno tipo Karl. Sul blu non si vede nulla, mentre invece quella maglietta candida ne avrebbe risentito parecchio.»
    Grace alzò gli occhi al cielo.
    «Koji, in nome dei motori Vega, smettila di dire cazzate.» Non poté, però, trattenere una risata. «Mi chiedo che cosa si sia fumato Mitchell quando ti ha proposto di fare qualche video della serata. Credevo che fumasse solo sostanze legali. In quantità industriale, è vero, ma pur sempre sostanze legali.» Si guardò intorno. «A proposito di video della serata, ci sarà davvero qualcosa di interessante da dover far vedere a tutti i costi? Non mi risulta che nella Emirates Series facciano queste pagliacciate.» Si rivolse al pilota neozelandese, recentemente vincitore del titolo. «Cosa ne dici, Dobson? Anche negli Emirati ci sono feste nel paddock?»
    «No.»
    «Gente seria» osservò Grace. «Loro pensano a guidare, mica a fare feste.»
    «Sbagliato» ribatté Karl. «Di eventi ce ne sono parecchi... ma che bisogno c’è di farli proprio nel paddock? Negli Emirati non si organizzano feste per poveracci. Sono due mondi diversi. La Emirates è l’élite, la Golden League lo è stata molto tempo fa.»
    «Allora» obiettò Koji, «Avresti potuto rimanere là.»
    Per fortuna aveva spento la videocamera, notò Grace, che ormai aveva l’impressione che Karl stesse per pronunciare parole che era meglio non divulgare.
    «Il campionato è finito» si limitò invece a puntualizzare Dobson. «Avevo varie opzioni e, tra le tante, ho scelto di unirmi al team Vega anche qui. Perché non avrei dovuto rientrare proprio adesso? La squadra è al top...»
    Koji lo interruppe: «E ha già due piloti al top.»
    Grace sospirò.
    “Perché quel cretino non sta zitto?”
    Era vero, Hugo Nyman e Manuel Gomez erano le prime scelte della squadra giapponese, e lo erano ormai da anni, ma non c’era bisogno di farlo presente proprio a Karl Dobson, che aveva la pessima abitudine di andarsene in giro con un’aria da dio in terra e che aveva più volte dimostrato di non apprezzare che si rimarcasse il suo status di “terzo pilota”.
    Per fortuna quella sera Karl doveva sentirsi meno divino del solito, dal momento che si limitò a controbattere: «Non conta il passato, e anche quello che c’è scritto sul mio contratto conta fino a un certo punto. Non ho niente di meno di Hugo e Manuel e, se ho accettato di tornare, è perché credo di poterlo dimostrare. E poi sono in buona compagnia.»
    Grace raggelò.
    La buona compagnia doveva essere rappresentata da Dalia che, per fortuna, in quel momento era vicina alle casse e accennava qualche passo di ballo insieme al suo nuovo personal trailer, in presenza di due meccanici di mezza età. Ecco, quella sarebbe stata una scena perfetta da mostrare al mondo: né particolarmente folle né particolarmente imbarazzante.
    Molte persone avrebbero finito per osservare che Jacques Dubois somigliava parecchio a Nathan, ma era un dettaglio su cui comunque, prima o poi, l’attenzione si sarebbe focalizzata.

    ***

    Jacques si sedette di fronte a Dalia e la guardò con aria interrogativa.
    «Allora?»
    Lei finse di non capire.
    «Allora... cosa?»
    Jacques la fissò con fermezza.
    «Perché hai voluto vedermi con urgenza, al punto da costringermi a cambiare i miei programmi per la giornata di oggi?»
    Dalia sbuffò.
    «Avevi qualcosa di così importante da fare?»
    Jacques rise.
    «Siete tutti così, nella Golden League?»
    «Così... come?»
    «Credete che il mondo giri solo ed esclusivamente intorno a voi. L’ho sempre detto: la popolarità dà alla testa.»
    «Non posso farci niente se io, a differenza tua, ho continuato fino in fondo e sono diventata ciò che il destino aveva scelto per me.»
    Jacques aggrottò le sopracciglia.
    «Di cosa parli, se non sono indiscreto?»
    «Non è un mistero che quindici anni fa tu fossi un promettentissimo kartista» ribatté Dalia. «Poi, da un giorno all’altro, hai deciso di ritirarti dalle competizioni per seguire i tuoi veri interessi. Perché l’hai fatto?»
    «Mhm...» Jacques parve riflettere. «Credo che la ragione sia che i miei veri interessi siano diversi dai tuoi e che abbiano poco a che vedere con i motori. Ti sembrerà strano, ma...»
    «Certo che mi sembra strano» lo interruppe Dalia. «Mi sembra difficile lasciare una brillante carriera per...»
    A quel punto fu Jacques a non lasciarla finire.
    «Ti chiedi come si possano preferire le scuole e le università ai circuiti? Anche Nathan me lo chiedeva sempre.»
    «Sui circuiti ci sei tornato, anche se per vie traverse» replicò Dalia. «Quando hai accettato di diventare il suo preparatore atletico non hai pensato che avresti potuto rimpiangere ciò che tu stesso avresti potuto diventare?»
    Jacques la guardò dritto negli occhi.
    «Non ho nessun rimpianto.»
    «Bene» concluse Dalia. «Scusa se ho perso un po’ troppo tempo con i convenevoli, ma ora vorrei passare al sodo. Sono qui per proporti di lavorare per me.»
    Jacques spalancò gli occhi.
    «Come hai detto?»
    «Non fare finta di non avere capito» ribatté Dalia, «Perché so che hai capito benissimo quello che ti ho chiesto. Un nuovo campionato sta per iniziare e credo che tu sia l’uomo perfetto per me... non in senso equivoco, ovviamente.»
    «Nessun equivoco» le assicurò Jacques. «Quello che non mi spiego è perché tu sia venuta qui a scovare proprio me.»
    Dalia sospirò.
    «Non lo so nemmeno io. Mi sono limitata a fare ciò che il cuore mi suggeriva. Sei libero di mandarmi via. Io, però, sarei più soddisfatta se ne parlassimo.»

    ***
     
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    «Aspettate un attimo, state fermi lì.» Gabriel scattò la fotografia, immortalando Dalia, Jacques e i due meccanici. «È venuta benissimo.»
    Dalia si avvicinò.
    «Posso vederla?»
    «Un attimo.»
    Gabriel la condivise in rete, prima di mostrarla alla collega.
    «Sì, tutto sommato è venuta abbastanza bene» ammise Dalia. «Puoi postarla, se vuoi.»
    Gabriel le strizzò amichevolmente un occhio.
    «Già fatto.»
    «Oh...» Dalia era spiazzata, o almeno si fingeva tale. «Non eri tu quello che si lamentava del fatto che i social network vengono ancora presi troppo sul serio? Pensavo che almeno tu avessi rinunciato a utilizzarli come mezzo di comunicazione.»
    «Non li utilizzo come mezzo di comunicazione» replicò Gabriel. «Ho solo pubblicato una foto. Nel migliore dei casi riceverò dei commenti di gente infastidita dal fatto che tu sia travestita da arcobaleno, cosa che secondo il popolo della rete è concessa soltanto per andare a presenziare a un gay pride.»
    «Vogliamo parlare di te travestito da limone, allora?»
    Gabriel avvampò.
    Effettivamente il team Corujas Blancas non era l’unico che, grazie a nuovi sponsor, aveva mutato radicalmente i propri colori, finendo per mettere in pista vetture di tonalità vistose, ma dotando i propri piloti e il proprio personale di indumenti quantomeno imbarazzanti.
    «Te lo concedo» ammise, infine, «Sono travestito da limone. Non so se sia meglio o peggio che sembrare un canarino.»
    «Sembri entrambe le cose» gli assicurò Dalia, con un sorriso a trentadue denti.
    Se non altro era bello vederla sorridere: era accaduto poco spesso, durante i suoi mesi nella Emirates Series. Anche nelle due occasioni in cui era riuscita a salire sul podio era sempre sembrata tesa e insoddisfatta.
    Era inutile dire che il suo ingaggio da parte del team Corujas Blancas era stato il tormentone di cui si era discusso maggiormente nelle ultime settimane.
    Qualche voce era già uscita dopo i test privati del team, quando Dalia aveva provato la vettura camuffando la propria identità. Non si era mai fatta vedere al di fuori della monoposto e aveva sempre indossato un casco con i colori di quello di Ethan Harris.
    Sarebbe bastato qualche scatto rubato quando era al di fuori dell’abitacolo e nessuna tuta e nessun casco avrebbero camuffato l’identità di Dalia, ma la squadra era stata molto attenta a far sì che macchine fotografiche e flash fossero ben lontani nei pochi momenti in cui era possibile intravedere le curve della Herrera. In conclusione, nessuno scatto rubato aveva permesso alla scuderia brasiliana di conservare più a lungo il proprio segreto... ma i segreti del mondo della Golden League erano fatti per essere svelati, nel momento più opportuno, ovvero quando era possibile catalizzare l’attenzione e mettersi in mostra.
    Dalia aveva accettato il ruolo di terzo pilota, ma Gabriel era certo che sarebbe riuscita a mettersi in mostra comunque. Avrebbe superato senza difficoltà le prequalifiche - prequalifiche che Gabriel prevedeva di superare a propria volta - e avrebbe conquistato sempre la griglia di partenza: anche se dopo l’incidente a Indianapolis dell’anno precedente era sempre apparsa un po’ arrugginita, negli Emirati aveva dimostrato di non esserlo al cento per cento.
    “Vederla sul podio sarà difficile” ipotizzava Gabriel, “Ma prenderà punti regolarmente.”
    Nelle ultime stagioni le vetture Rayo Fatal e Corujas Blancas avevano avuto distacchi minimi, almeno quando le Corujas Blancas riuscivano ad arrivare in fondo, il che non accadeva molto spesso.
    Le cose, comunque, dovevano essere cambiate, almeno considerando i proclami che la squadra sudamericana non aveva esitato a diffondere negli ultimi mesi. I motori Vega, così come il denaro sonante della Delirium, avrebbero contribuito a riportare il team al vertice, “dove doveva stare”.
    Gabriel non era certo che bastassero un nuovo sponsor e un nuovo fornitore di motori per risolvere tutto, ma era convinto che, pur rimanendo uno scalino al di sotto di Phoenix e Vega, il team brasiliano sarebbe stato un valido concorrente per il terzo posto in classifica, posizione a cui anche gli spagnoli del Rayo Fatal, motorizzati Phoenix, aspiravano.
    Se Ethan aveva lasciato il team Rayo Fatal per passare alla concorrenza, non era solo per questioni romantiche e per la sua dichiarata intenzione di terminare la propria carriera nella squadra in cui suo padre aveva creduto due decenni prima, ma anche perché contava su una monoposto competitiva almeno quanto quella che si era lasciato alle spalle.
    Accanto a lui ci sarebbe stato Koji Yoshimoto, che era propenso all’errore ma veloce come un fulmine, ed entrambi avrebbero potuto contare sulla collaborazione di Dalia Herrera. Se fossero riusciti a gestire la pressione mediatica che si stava innalzando sempre di più, avrebbero potuto combinare qualcosa di positivo.
    Seppure Gabriel non avesse alcun vantaggio da una ritrovata competitività del team Corujas Blancas, qualcosa in fondo al cuore lo spingeva ad augurarsi che potessero risollevarsi, prima o poi, e chissà, magari un giorno tornare a lottare per il campionato. Aveva solo vent’anni e non era vecchio abbastanza per ricordarsi di Kit Harris, ma quel pilota, capace di dimostrare che non è mai troppo tardi per iniziare a vincere, l’aveva sempre impressionato.
    Harris aveva ottenuto la prima vittoria a trentasette anni, dopo più di un decennio trascorso a centro gruppo e nelle retrovie, al volante di vetture inferiori a ciò che avrebbe meritato, quando ormai tutti lo consideravano vicino al pensionamento e gli suggerivano di appendere il casco al chiodo e di seguire la carriera di suo figlio Ethan.
    Al pensionamento c’era stato molto vicino, quando aveva rischiato di rimanere senza volante per la stagione successiva. Nessuno sembrava più credere in lui; nessuno a parte Ernesto Ramirez, suo vecchio rivale nelle retrovie nonché fondatore del team Corujas Blancas, la cui storia era molto recente, ma il cui progetto era molto serio.
    Da bambino Gabriel aveva avuto due eroi: il primo era suo padre, pilota brillante ma dal budget limitato, che non aveva mai gareggiato al di fuori dei confini nazionali, l’altro era Kit Harris. Amava guardare le videocassette registrate da suo padre delle vecchie gare della Golden League e immaginare, un giorno, di diventare come Kit Harris.
    Non era diventato come Kit Harris, ma aveva raggiunto, grazie al proprio impegno, alla propria determinazione, al proprio talento e ai propri sponsor, che non l’avrebbero mai preso in considerazione se non fosse stato per il suo impegno, la sua determinazione e il suo talento, quello che un tempo era il fiore all’occhiello dell’automobilismo internazionale. Poi, per una strana serie di coincidenze, la sua strada si era incrociata con quella di Daphne, la nipote di Kit, che in quella stagione avrebbe esordito in Silver League, dopo avere rifiutato il ruolo di terzo pilota per il team Pink Venus, perché voleva evitare di bruciare le tappe, ma il suo incontro con Daphne Harris aveva sfaccettature che si allontanavano molto dal mondo del motorsport.
    Quello che era certo era che Daphne era rimasta molto impressionata, nel vederlo indossare per la prima volta la tuta giallo canarino alla presentazione della nuova vettura spagnola, dello stesso bizzarro colore giallo canarino.

    ***

    «Prima ho visto Leroy e Villa e ho pensato che quelle tute fossero orrende» ammise Daphne, «E che Michel, soprattutto, stesse malissimo. Anche Ramon non era granché, ma già vedere Ramon in piedi, al di fuori della macchina, invece che nell’abitacolo di una macchina che spicca il volo, è già un passo avanti.» Daphne non era l’unica ad essere rimasta impressionata dal cappottamento del pilota messicano alla Cinquecento Miglia di Indianapolis; anzi, si era trattato di uno degli incidenti più discussi degli ultimi anni. «Poi, a quel punto, hai fatto la tua comparsa tu.»
    Gabriel sorrise.
    «E quindi?»
    «Quindi ci ho ripensato» ribatté Daphne. «Quel giallo ti dona. In realtà dona a tutti. La vettura, tra l’altro, è bellissima.»
    «Credevo che preferissi anche tu il verde brillante» replicò Gabriel. «Sul sito ufficiale della Golden League la Sparks è stata votata come la monoposto più bella del 20**.»
    Daphne allargò le braccia.
    «Cosa posso farci io se c’è così tanta gente che ha un pessimo gusto?»
    «O magari» azzardò Gabriel, «Sono loro che hanno buon gusto e tu che non ce l’hai.»
    «Mhm... effettivamente sì.» Daphne rise. «Mio padre dice sempre che devo avere un pessimo gusto, se mi piace uno sfasciacarrozze sconclusionato come te.»
    «Buono a sapersi» ribatté Gabriel. «Mi sento molto più realizzato, adesso che so che il mio potenziale futuro suocero, nonché figlio del mio idolo d’infanzia, mi considera uno... come hai detto? sfasciacarrozze sconclusionato?»
    «Sfasciacarrozze sconclusionato» confermò Daphne, «Ma in senso buono.»
    «Mi è molto difficile credere che si possa definire qualcuno in questi termini in senso buono, ma lasciamo perdere. Ethan cambierà idea su di me, dopo che l’avrò asfaltato.»
    «Mi raccomando, comportati bene con lui. Non vorrei che i gossip incrementassero.»
    Gabriel le ricordò: «Non ci sono gossip su di noi. A meno che qualcuno non ci stia pedinando di nascosto o che non abbia messo dei microchip nei nostri cellulari, nessuno scoprirà che stiamo insieme.»
    «A questo proposito, è meglio che vada prima che qualcuno mi scopra insieme a te» concluse Daphne. «Divertiti stasera, alla festa.»
    «Tu ci sarai?»
    Daphne scosse la testa.
    «No, noi piloti della Silver League siamo giovani, ma seri. Ti ricordo che domani dobbiamo scendere in pista, noi.»
    «Un po’ ti invidio, dato che io ho una stupida presentazione con il nostro main sponsor.
    «Ah, già, quel buontempone che ha deciso di colorare tutto di giallo.» Daphne ridacchiò. «Ti capisco. Hai tutte le ragioni di questo mondo per invidiarmi.»

    ***

    Dalia fece un cenno di saluto al “deejay” e si allontanò da Jacques giusto in tempo per vedere Koji che le veniva incontro.
    Teneva in mano due bicchieri, riempiti di liquido verde.
    Gliene porse uno.
    «Posso offrirti un drink?»
    «Se non l’hai avvelenato...»
    «Non ho mai l’abitudine di avvelenare i miei compagni di squadra» la rassicurò Koji, «E non ho intenzione di iniziare con te.»
    Dalia prese il bicchiere, lo portò alla bocca e bevve un sorso di Sparks aromatizzato alla menta. Era l’ultimo gusto che la multinazionale delle bibite energetiche, che deteneva anche la proprietà dell’omonimo team in Golden League e di altre squadre in altri campionati e in altre discipline sportive, aveva lanciato sul mercato.
    «Che cosa ne pensi?» le chiese Koji. «Secondo me la migliore rimane sempre la prima che hanno messo in commercio.»
    Dalia annuì, ma con poca convinzione, non perché le importasse qualcosa degli energy-drink dediti alle sponsorizzazioni di massa e non concordasse con il compagno di squadra, quanto perché in quel momento aveva altro per la testa.
    «Per una volta, mi sento a posto con me stessa» confidò a Yoshimoto. «Sono felice che la stagione stia per iniziare.»
    «Anch’io.»
    «Non lo mettevo in dubbio.»
    «Non hai capito» replicò Koji. «Volevo dire che sono felice che la nostra prima stagione nello stesso team stia per iniziare. Era da tanto tempo che desideravo l’occasione di confrontarmi di nuovo con te, anche se mi ero già messo il cuore in pace. Poi è arrivato Mister Delirium, ha deciso che dovevamo guidare monoposto con i colori dell’arcobaleno e che tu dovevi mettere il culo sul sedile. Ha fatto un’opera utile a tutti noi.»
    «Delirium...» borbottò Dalia. «Questa stagione sarà un delirio.»
    «Speriamo che sia il delirio dell’arcobaleno, allora» osservò, «Così le cose gireranno un po’ dalla nostra parte!»
     
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    Oh, ecco spiegato il titolo :D

    Che dire, in questa storia Vega ha smesso di fare pneumatici per i kart e ha cominciato a motorizzare monoposto! ;)

    Poi c'è una cosa interessante. A parte i colori sgargiantissimi, sembra che tu abbia anticipato - in qualche modo - alcuni prossimi fili conduttori. La storia nascosta di Gabriel con Daphne, le prequalifiche con la mazzoniana ghigliottina... Ho idea che la Golden League potrà sfruttare mediaticamente questi eventi!

    PS: ci sono un paio di parole mancanti, credo tutte nella prima metà del VI capitolo. Per il resto la trama mi piace molto e sono contento di aver trovato un po' di tempo per leggere l'aggiornamento!
     
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    Mi impegno solennemente a rileggere la prima metà del capitolo, da me scritta martedì notte tra le due e le tre e riletta ieri mattina dopo meno di sei ore di sonno. :aah:

    Tra parentesi, questa Vega è giapponese e fa motori affidabili. :P
    Può darsi che la Golden League sfrutti mediaticamente questi eventi, in effetti... In particolare le prequalifiche a cui partecipa una vettura per ogni team potrebbe essere sfruttata mediaticamente, in termini di attenzione, più di una prequalifica con soli backmarkers generalmente sconosciuti al 90% del fanbase. XD
     
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    Andiamo con la prima parte del capitolo 7, poi vado a scrivere il Commento alla Indy 500.
    #RossiWins #RossiWins #RossiWins



    Capitolo 7.

    Cinque giorni di test avevano dimostrato chiaramente che le carte in tavola non erano cambiate. Anche per quell’anno ci sarebbe stato da inseguire, ma Ethan era felice di inseguire al volante di una vettura del team Corujas Blancas.
    Sapeva di non avere più molti anni di carriera davanti, almeno nella Golden League, dove i piloti dai quarant’anni in su venivano visti come prossimi alla pensione, ma gli ultimi anni voleva trascorrerli tutti nel team in cui anche suo padre programmava di terminare la propria carriera, in un modo diverso da com’era andata in realtà, perché non aveva mai previsto che la fine della sua carriera coincidesse con la fine della sua vita.
    Ethan desiderava con tutte le proprie forze vincere quel titolo che a suo padre era sfuggito e nutriva ancora la speranza che non fosse troppo tardi. La squadra si stava lentamente risollevando dal baratro in cui era sprofondata qualche anno prima e la situazione continuava a migliorare progressivamente.
    Chissà, forse non era troppo tardi.
    Di certo non era troppo tardi per godersi qualche istante di relax con la bella addetta stampa dai capelli rosso rame.
    Grace era seduta accanto a lui e, anche se stava trafficando con il tablet per terminare l’articolo che intendeva pubblicare il più in fretta possibile, a Ethan bastava.
    «Quanto ti manca?» le domandò.
    Grace non alzò lo sguardo dal proprio lavoro.
    «Poco. Sto rileggendo, per vedere se non ho toppato la nazionalità di qualcuno. Ancora mi ricordo quella volta, l’anno scorso, in cui ho incrociato Nyman nel paddock e lui, guardandomi malissimo, mi ha chiesto: “si può sapere da quando sono diventato finlandese?” Che momento da facepalm. Avrei voluto sprofondare.»
    «Capita anche ai migliori» la rassicurò Ethan, «Però sappi che sarei pronto a toglierti il saluto se, in qualche punto del tuo articolo, mi avessi trasformato in un suddito dell’Impero Britannico.»
    «Non ti preoccupare, non sei e non sarai mai e poi mai un suddito dell’Impero Britannico» lo rassicurò Grace, «Anche perché parli l’inglese male quasi quanto me.»
    «È una soddisfazione.»
    «Ti accontenti di poco, allora.»
    «La vera soddisfazione» declamò, «È essere soddisfatti per le piccole cose. Il fatto che il sole renda i tuoi capelli ancora più accesi è una di queste.»
    «Quindi» ribatté Grace, «Di conseguenza io dovrei essere estasiata dal fatto che Photoshop possa rendere i tuoi occhi ancora più azzurri.»
    Ethan borbottò, tra i denti: «Verdi.»
    «Azzurri, verdi, è uguale. Le ragazzine sui social network ti sbavano dietro ugualmente.»
    «Considerando che la maggior parte di loro sono più giovani di mia figlia, ne sono profondamente preoccupato.»
    «La cosa non fa testo. Eri praticamente un bambino quando Daphne è venuta al mondo.»
    «Ciò non spiega perché una quindicenne dovrebbe considerarmi attraente.»
    Grace si girò verso di lui.
    «Essenzialmente perché sei attraente... Nel senso, con la tuta indosso hai il tuo fascino. Anche quando hai la visiera del casco sollevata e metti in mostra i tuoi occhi che, grazie a Photoshop, potrebbero diventare azzurri.»
    «Invece di perdere tempo a parlare dei miei occhi e di Photoshop» la spronò Ethan, «Finisci il tuo articolo, se vuoi che i lettori di goldenleagueracing.net scoprano la grande novità dal sito invece che dai social.»
    «La notizia è già di dominio pubblico» replicò Grace. «Questa, comunque, non è una buona ragione per rimanere qui a fare delle chiacchiere mentre sta accadendo qualcosa di molto importante per la Golden League.»
    Tornò a posare lo sguardo sul tablet, continuando la rilettura di ciò che aveva scritto fino a quel momento.

    “[...] Se da un lato la decisione del team Corujas Blancas di finanziare la Scuderia Moretti farà discutere, soprattutto se quest’ultima dovesse trasformarsi in una sorta di squadra satellite, dall’altro il ritorno di Anders Ramirez nella Golden League è una novità a cui tutti guarderanno con interesse.
    Dopo quattro stagioni trascorse nella Golden League, nove anni fa ‘Ramirez III’ aveva lasciato la serie per intraprendere nuovi progetti. Uno di questi è stato la Emirates Series, dove nella stagione appena conclusa Anders si è classificato in seconda posizione, perdendo ogni chance di lottare per il titolo al penultimo appuntamento stagionale, quando l’aritmetica ha ufficialmente giocato a favore di Karl Dobson.
    I due si incontreranno di nuovo nella Golden League, quest’anno, Dobson terzo pilota in un team di prima fascia, Ramirez prima guida di una squadra che, per il momento, non è ancora riuscita a scendere in pista.

    In sintesi, quest’anno vedremo in pista otto squadre, provenienti da sette diverse nazioni, e ventiquattro piloti, di cui ben otto debuttanti (almeno dal punto di vista del debutto in gara, dato che alcuni di loro hanno già occupato il ruolo di terzi piloti nelle scorse stagioni, quando il ruolo di terzo pilota era molto diverso da quello attuale): il “trio delle meraviglie” composto da Willis, Araya e Parker, che si sono contesi lo scorso campionato in Silver League, nonché Villa, Cruz, Volkova, Ruggeri e Reyes.
    Ecco chi vedremo in griglia durante questa stagione:

    Phoenix Motorsport (Austria), motore Phoenix
    #1. Erik Novak, 31 anni, Croazia
    #2. Shane Willis, 21 anni, Canada
    Terzo pilota #17. Juan Suarez, 27 anni, Messico

    Vega Racing Team (Giappone), motore Vega
    #3. Hugo Nyman, 26 anni, Svezia
    #4. Manuel Gomez, 29 anni, Spagna
    Terzo pilota #18. Karl Dobson, 35 anni, Nuova Zelanda

    Rayo Fatal (Spagna), motore Phoenix
    #5. Michel Leroy, 30 anni, Francia
    #6. Ramon Villa, 27 anni, Messico
    Terzo pilota #19. Gabriel Aruya, 20 anni, Argentina

    Corujas Blancas (Brasile), motore Vega
    #7. Ethan Harris, 38 anni, Stati Uniti
    #8. Koji Yoshimoto, 32 anni, Giappone
    Terzo pilota #20. Dalia Herrera, 37 anni, Messico

    Sparks Racing (Stati Uniti), motore Alpha
    #9. George Arden, 39 anni, Stati Uniti
    #10. Kristian Schmidt, 23 anni, Germania
    Terzo pilota #21. Salvador Cruz, 19 anni, Venezuela

    Pink Venus Racing Team (Regno Unito), motore Alpha
    #11. Caroline Parker, 33 anni, Canada
    #12. Marcela Lopez Ferreira, 22 anni, Spagna
    Terzo pilota: #22. Irina Volkova, 24 anni, Russia

    Scuderia Moretti (Italia), motore Vega*
    #13. Anders Ramirez, 37 anni, Brasile
    #14. Jens Schubert, 28 anni, Austria
    Terzo pilota: #23. Giuseppe Ruggeri, 22 anni, Italia

    Team Athena (Regno Unito), motore Alpha*
    #15. Leonard Barnett, 35 anni, Regno Unito
    #16. Flavio Santos, 25 anni, Portogallo
    Terzo pilota: #24. Leandro Reyes, 24 anni, Colombia

    * Scuderia Moretti e Team Athena utilizzeranno rispettivamente motori Vega e motori Alpha della scorsa stagione.”


    «Perfetto» osservò Grace. «Credo di avere azzeccato la nazionalità di tutti. Dalia corre con licenza messicana, giusto?»
    «Certo che sì!» ribatté Ethan.
    Grace si girò a guardarlo negli occhi, notando che li aveva spalancati per lo stupore.
    «Lo so, ti ho chiesto una cosa ovvia, ma non ci capisco nulla. Ha doppio passaporto, in realtà, se non sbaglio.»
    «Sì, ha doppio passaporto, ma ha sempre corso con licenza messicana» puntualizzò Ethan. «È uno dei dati di fatto di Dalia. Sta al secondo posto dopo il curioso design del suo casco, rimasto immutato, tranne che per esigenze di sponsor, per tutta la sua carriera. Sponsor o non sponsor, comunque, i due gufi bianchi sono sempre rimasti.»
    Ethan aveva ragione, sostenendo che i gufi, tributo al team di famiglia, ci fossero sempre stati, ma doveva essergli sfuggito un dettaglio: i due gufi stilizzati, uno alla destra e uno alla sinistra di due bandiere a scacchi con le aste incrociate, avevano cambiato colore.
    «Adesso i gufi sono neri.»
    «Sì, ci ho fatto caso.»
    «Ti sei chiesto perché?»
    Ethan alzò le spalle.
    «Dalia avrà deciso di dare un tocco di stile al suo casco. Anche gli occhi dei gufi hanno colori strani. Una volta uno aveva gli occhi gialli e l’altro aveva gli occhi verdi. Adesso, invece, se non ricordo male, uno ha un occhio giallo e un occhio verde, mentre l’altro ha un occhio giallo e un occhio rosso.»
    «Vedo che sei un buon osservatore» fu costretta ad ammettere Grace. «Prima, quando hai detto che i due gufi bianchi sono rimasti sempre tali e quali, mi avevi fatto tutt’altra impressione.»
    «In realtà il casco di Dalia non mi interessa molto» le confidò Ethan. «Ci sono cose molto più importanti a cui pensare, senza perdere tempo dietro ai suoi improvvisi slanci di creatività.»
    Grace aggrottò la fronte, riflettendo.
    «Non credo che si tratti solo di uno slancio di creatività.»
    «Perché no?»
    «Perché nella Emirates i gufi erano ancora bianchi e avevano gli occhi gialli.»
    «Lo slancio di creatività potrebbe averlo avuto dopo» suggerì Ethan. «Per cortesia, Grace, non vedere misteri laddove non ce ne sono. Non riesco a credere che tu abbia ipotizzato una teoria del complotto anche per due semplici gufi stilizzati. Mi sembri quelli che sostengono che Mitch e suo padre facciano parte del Nuovo Ordine Mondiale, perché il gufo rappresenta la saggezza e, per qualche oscuro motivo, rappresentare la saggezza significherebbe anche far parte di un complotto ordito da alieni con la coda che si spacciano per banchieri, politici, leader religiosi e, ciliegina sulla torta, cantanti pop che hanno inscenato la propria morte fuggendo in Sudamerica. Guarda caso, il team è brasiliano...»
    Grace rise.
    «Credo di avere bisogno di uno schema per ricordarmi tutto quello che hai detto.»
    «Ti assicuro che non ha importanza.»
    «Non ne ha, mentre i gufi sul casco di Dalia potrebbero averne. Credo che i colori degli occhi dei gufi abbiano un significato.»
    «Non mi dire che uno dei due gufi ha un occhio verde perché il sogno nel cassetto di Dalia è sempre stato quello di passare alla Sparks!» ribatté Ethan. «Questo sì che sarebbe uno scoop di un certo livello.»
    «Veramente pensavo a qualcosa di più mainstream» ammise Grace. «Il fatto che un gufo abbia un occhio verde e un occhio giallo potrebbe rappresentare la partenza di una gara nella quale c’è stato un incidente al via.»

    ***

    Le luci rosse si erano accese, una dopo l’altra.
    La gara si apprestava a scattare.
    Quella doveva essere la gara della rivincita.
    Nathaniel Dubois, chiamato a sostituire l’infortunato Koji Yoshimoto, scattava dalla prima fila.
    Il suo secondo tempo in qualifica era stato tanto inatteso quanto desiderato da tutta la squadra.
    Tutto avrebbe dovuto filare liscio...
    Invece nulla stava filando liscio ed era proprio Dubois quello che si stava sbracciando per segnalare che il motore della sua monoposto si era spento.
    I commissari stavano agitando le bandiere gialle.
    Le luci rosse si erano spente, sostituite da luci gialle lampeggianti.
    Ci sarebbero stati un nuovo giro di formazione e una nuova partenza, con Dubois sull’ultima piazzola della griglia.
    Ci sarebbero stati un nuovo giro di formazione e una nuova partenza; stavolta tutto sarebbe filato liscio e, anche se il privilegio della prima fila era svanito, Schmidt e Dubois avrebbero comunque tentato di salvare l’onore del team.
    Ci fu un nuovo giro di formazione.
    Ci fu una nuova partenza.
    Non filò tutto liscio.

    ***

    «Interpretazione interessante» osservò Ethan. «Per caso sei convinta anche che il gufo con un occhio giallo e uno rosso rappresenti un incidente che ha portato all’esposizione della bandiera rossa?»

    ***

    Le strette stradine di Montecarlo si erano trasformate in un caos.
    Era bastato un attimo perché l’atmosfera si facesse pesante.
    I replay dell’incidente non avrebbero fatto altro che ricordare al mondo della Golden League quale errore madornale fosse stato commesso nove anni prima; errore madornale al quale non era mai stato posto rimedio, nonostante tutti avessero già visto da vicino le devastanti conseguenze di quello sbaglio.
    Era accaduto di nuovo.

    ***

    «Montecarlo 20**.»
    Ethan si girò di scatto.
    «Come dici?»
    Solo pronunciare quelle parole aveva il potere di fare accapponare la pelle a chiunque fosse stato presente nel paddock, quel giorno, figurarsi a Ethan che in pista quel casino l’aveva vissuto in prima persona.
    «Un incidente in partenza, un incidente che ha provocato l’esposizione della bandiera rossa, i gufi che adesso sono neri...» Grace era certa di quanto stava affermando. «Tutto lascia pensare che Dalia abbia scelto di apportare quelle modifiche al proprio casco per comunicare che, nonostante lei fosse dall’altra parte dell’oceano, quel giorno, era più vicina di quanto potesse sembrare. Non mi è chiaro se voglia comunicarlo al mondo o se voglia comunicarlo a se stessa, ma resta il fatto che quei simboli hanno una loro chiave di lettura.»
    Finalmente Ethan le diede ragione.
    «Questa chiave di lettura potrebbe avere un senso. Dalia e Nathan erano molto amici, dopotutto... O almeno è quello che sembra.»
    «Sì, erano molto amici» convenne Grace. «Se non sbaglio, Dalia è stata una delle prime persone a cui Nathan, a suo tempo, ha riferito di avere finalmente avuto la chance che aspettava. Una volta, deve essere stato due o tre settimane prima di Montecarlo, l’ho sentito mentre raccontava che, con sua sorpresa, Dalia ne era stata più contrariata che felice.»

    ***
     
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    mmmh la faccenda si fa simbolica.

    In effetti un cambio di colore di un casco altrimenti sempre rimasto uguale fa pensare, soprattutto con una persona - Dalia - che sembra piuttosto emotiva.

    Inoltre questo incidente del 20** :lose: deve essere stato qualcosa di enorme per tutti i protagonisti della #FF, uno spartiacque come nel caso di Imola '94. Le conseguenze si sentono ancora molto.

    PS: belle squadre!
     
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    Eh, per le squadre è stato un lavoro abbastanza complicato. :D

    CITAZIONE
    Inoltre questo incidente del 20** :lose: deve essere stato qualcosa di enorme per tutti i protagonisti della #FF, uno spartiacque come nel caso di Imola '94. Le conseguenze si sentono ancora molto.

    In realtà non so se si tratti di un vero e proprio spartiacque. Però è ancora qualcosa di molto recente nel tempo.
     
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    [...] Si guardarono negli occhi.
    Dalia parve intravedere un velo di stupore in quelli di Nathan.
    Per un attimo nessuno disse nulla.
    Fu Nathan, infine, a rompere il silenzio.
    «Pensavo che, almeno, potessi essere contenta per me. Sai benissimo quanto desiderassi che quel test avesse un seguito.»
    Dalia scosse la testa.
    «Non riesco a crederci. Vuoi vendere il tuo futuro alla Golden League, fregandotene di tutti i tuoi obiettivi. Una volta non ci credevo, ma mi rendo conto che è davvero così: solo sentire pronunciare il nome “Golden League” è sufficiente per mettere a dura prova l’intelletto della maggior parte dei piloti.»
    Nathan spalancò gli occhi.
    «Che cosa vuoi dire?»
    «Voglio dire che il tuo futuro è qui. Soltanto un pazzo manderebbe a puttane quello che hai fatto finora. Credevo che Indianapolis fosse il tuo obiettivo.»
    «Indianapolis era uno dei miei obiettivi» ammise Nathan, «Ma non era l’unico.»
    «Non puoi dirmi che è un obiettivo di “serie B”.»
    «Non l’ho mai detto, ma preferisco la certezza del Team Corujas Blancas piuttosto che la possibilità di gareggiare a Indianapolis.»
    Dalia sospirò.
    «È proprio vero. Ti hanno fatto il lavaggio del cervello.»
    «Non essere ridicola» replicò Nathan, secco. «Non mi hanno fatto nessun lavaggio del cervello. Ho solo fatto una scelta.»
    «Hai fatto la scelta sbagliata» puntualizzò Dalia. «Sai che cosa significa il termine riserva, immagino.»
    «Lo so benissimo.»
    «Allora dovresti fare due più due. Non riesco a credere che il tuo obiettivo sia sempre stato quello di sorridere nelle fotografie.»
    «Non mi limiterei a sorridere nelle fotografie» obiettò Nathan. «La verità è che, a differenza tua, non ho mai rinunciato all’idea di tornare nella Golden League. Anzi, sono sempre stato certo che, prima o poi, ci sarei tornato. Questo è il primo passo. Non posso dire che fosse esattamente quello che sognavo, ma so che dando un seguito a quello che c’è stato finora sono molto più vicino a quello che sognavo.»
    «E tutto quello che lasceresti qui?» insisté Dalia. «Non conta niente per te?»
    «Te l’ho già detto, qui non lascio certezze. Certe occasioni capitano soltanto una volta nella vita. Non dirmi che tu non torneresti in Golden League, se ne avessi la possibilità.»
    Dalia abbassò lo sguardo.
    «No, non tornerei.»
    «Perdonami, ma non riesco a crederti.»
    «Che tu mi creda o no, è la verità.»
    «È la verità che ti sei messa in testa dopo che ne sei rimasta fuori» replicò Nathan, e non aveva tutti i torti. «Va bene, non lo nego, negli Emirati e qui negli States hai trovato un’altra te stessa, ma sono sicuro che, se ne avessi la possibilità, torneresti nella Golden League, con cui hai ancora un conto in sospeso.»
    Dalia non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi.
    «Sì, forse tornerei nella Golden League» ammise, «Ma non rinuncerei a Indianapolis per la Golden League. Non sono così pazza.»
    «Tu sei in una posizione diversa dalla mia» le ricordò Nathan. «Ad ogni modo, mi fa piacere che tu ammetta che forse torneresti per terminare quello che hai iniziato.»
    Quello che aveva iniziato?
    Dalia non era sicura di avere iniziato qualcosa.
    Si era limitata ad accodarsi agli altri, più in senso metaforico che concretamente, e aveva, almeno in parte, contribuito al baratro in cui la Golden League era precipitata.
    Si sforzò di alzare lo sguardo.
    I suoi occhi tornarono a incrociarsi con quelli di Nathan.
    «L’unica cosa che potrei cercare di fare è rimediare ai danni che tutti noi abbiamo fatto, ma non sono sicura che avrebbe un senso.»
    «Nessuno può rimediare a nulla» decretò Nathan. «La Golden League ha continuato esattamente come prima e così continuerà ancora a lungo. Tutti hanno accettato quel compromesso: la storia e le tradizioni sono più importanti di tutto il resto, così è stato stabilito. Anche io e te non abbiamo fatto nulla per impedire che la Golden League andasse dritta per quella strada.»
    Dalia allargò le braccia.
    «Forse le cose dovevano andare così.»
    «Sì, forse le cose dovevano andare così» confermò Nathan, «E forse anche noi, un giorno, finiremo per pentirci della posizione che abbiamo preso.»
    «Che ce ne pentiamo o no, non cambia le cose. L’hai detto tu: c’è una strada dritta, che la Golden League sta seguendo.»
    «Aveva già deviato da quella strada.»
    «E aveva perso popolarità.»
    «Quindi» concluse Nathan, «La soluzione migliore è stata quella di tornare sulla retta via. È questo che tutti devono avere pensato, non credi? La verità è che niente cambierà mai, finché le squadre penseranno a farsi la guerra.»
    «Non dirlo a me» replicò Dalia. «Sei tu che non vedi l’ora di rientrare a far parte di quel mondo. Sei tu che stai tradendo i tuoi ideali.»
    Nathan alzò gli occhi al cielo.
    «Maledizione, Dalia, non potresti smetterla di ingigantire le cose una volta per tutte? Scendi dal tuo piedistallo. La vita è fatta di scelte e, per ogni scelta, bisogna valutare i lati positivi e i lati negativi. Non è tutto bianco o tutto nero. La Golden League è il sogno che inseguo da tutta la vita? Sì. Il mio obiettivo dichiarato è sempre stato quello di tornarci? Sì. In Golden League sono accaduti fatti eticamente discutibili? Sì. Ho fatto qualcosa di concreto per cambiare le cose? No. Ne ho avuto la possibilità? No. Il fatto che siano accaduti fatti eticamente discutibili ha cambiato i miei obiettivi? Se fossi un idealista potrei dirti di sì, ma la verità è che sono realista. Per me il bene assoluto e il male assoluto non esistono, o almeno non esistono in questo mondo. Il fatto di essere dei privilegiati non significa che, diversamente dal resto della popolazione mondiale, non possiamo accettare dei compromessi.»
    Dalia non rispose.
    Nathan le voltò le spalle e si allontanò.
    Simbolicamente, era come se stesse prendendo un'altra strada.
    Avrebbero avuto occasione di parlare di nuovo, prima del termine del fine settimana, e non soltanto di parlare, ma era chiaro che ormai i loro percorsi si stavano dividendo.

    ***

    Dalia appariva pensierosa.
    Grace, che in un primo momento era stata tentata di domandarle, con tono innocente, se la decisione di cambiare il design del casco fosse stata del tutto casuale, decise di non farlo.
    Dalia non aveva dato spiegazioni.
    Non significava necessariamente che cercasse qualcuno in grado di comprendere i retroscena di quel mutamento.
    “Magari non vuole essere scoperta.”
    Da quando Grace aveva preso a vederla di frequente, non aveva mai lasciato trapelare nulla. Ciò che era accaduto a Nathaniel Dubois sembrava averlo dimenticato meglio di tutti gli altri: lei non c’era, a Montecarlo, l’anno precedente, era ovvio che ne fosse meno toccata, almeno di facciata, e che, se lo era quanto o più degli altri, evitasse di esternare quello che provava. Dalia Herrera era sempre stata così, aveva sempre fatto il possibile per non mettere in piazza le proprie emozioni.
    Grace avrebbe potuto fare dietrofront e allontanarsi, ma ormai Dalia l’aveva vista e la guardava con aria interrogativa, come a chiederle che cosa volesse da lei.
    Il male minore era apparire null’altro che un’addetta ai lavori un po’ troppo curiosa.
    «Anders ti ha detto qualcosa?»
    L’aria interrogativa di Dalia non mutò.
    «Su cosa?»
    «Come la pensa, per il weekend? Ce la faranno a scendere in pista?»
    Dalia si lasciò andare a una risata.
    «Ti ricordo che io e Anders apparteniamo a due squadre avversarie. Che cosa ti fa pensare che io lo sappia?»
    Grace non si lasciò ingannare da quelle parole.
    «Conosco il tipo di rapporto che c’è tra te e tuo fratello. Sono più che certa che ti venga a confidare questi dettagli.»
    Dalia scosse la testa.
    «Ti sbagli. Al massimo Anders mi confida i gusti di sua moglie in fatto di biancheria. Immagino che questo non ti interessi.»
    Grace accennò una risata.
    «Chi ti dice che non abbia un lato modaiolo latente, dentro di me?»
    «Ammesso che tu ce l’abbia» ribatté Dalia, «Non sono sicura di ricordare nulla a proposito dei gusti di mia cognata in fatto di biancheria. So che per te sarà un colpo tremendo, ma ne ho già abbastanza di pensare alla mia.»
    «Mi pare giusto» convenne Grace. «In ogni caso, spero che la Scuderia Moretti riesca ad avere un buon weekend.»
    Dalia si mordicchiò un labbro.
    «Che rimanga tra noi, ma ne dubito.»
    Grace aggrottò la fronte.
    «Ne sai di più di quanto tu mi abbia detto.»
    «Sì, potrei saperne di più di quanto ne sai tu» confermò Dalia. «Mi dispiace doverlo dire, ma hanno avuto delle difficoltà serie. Riusciranno a scendere in pista, con tutta probabilità, ma non sono certa che arrivino molto lontano, nel fine settimana che abbiamo davanti. Se il terzo pilota dovesse scendere in pista durante le prequalifiche, sarebbe già un obiettivo.»
    Il terzo pilota era il ventiduenne Ruggeri.
    «Che cosa ne pensi di lui?» volle sapere Grace.
    Dalia le lanciò un’occhiata penetrante.
    «Per caso hai intenzione di scriverlo su quel maledetto sito web?»
    «Quel “maledetto” sito web è in realtà un sito molto ben strutturato. Comunque no, puoi stare tranquilla.» Grace sospirò. «Devo essere un fallimento del giornalismo, se le persone non si fidano nemmeno più a parlare con me. Chi non mi chiede esplicitamente se trascriverò qualcosa della nostra conversazione, almeno mi avverte che la questione deve rimanere tra di noi. Che cosa ne dici? Farei meglio a chiudere il tablet in un cassetto e a concentrarmi soltanto sul mio ruolo principale?»
    «Fai come vuoi» ribatté Dalia. «Se fai la voglia di continuare a scrivere per Golden League Racing, non credo che qualcuno ti ostacoli.»
    «Questo no, ma...»
    Grace si interruppe.
    Non era certa che Dalia fosse la persona migliore a cui confidare i propri timori.
    Sorprendentemente la Herrera si mostrò molto più perspicace di quanto Grace avesse potuto immaginare.
    «Credi di non essere all’altezza, vero?»
    «A volte sì.»
    «Stai tranquilla» la rassicurò Dalia. «Non hai niente in meno degli altri. O meglio...» Fece una breve pausa, poi, strizzandole un occhio, la informò: «Tu sei molto meno insistente della gente con cui ho a che fare di solito. Anzi, se ti dimostrassi un po’ più determinata, forse la cosa gioverebbe.» Ridacchiò. «Sai cosa ti dico? Alla fine del weekend dovresti chiedere ad Anders di rilasciare un’intervista per quel dannato sito. Non preoccuparti, ti dirà di sì. Se non lo farà, sarò io a fargli cambiare idea.»
    Grace spalancò gli occhi.
    «Anders?»
    «Anders» ripeté Dalia. «Che cosa ti lascia perplessa?»
    «Non sono certa che a qualcuno interessi leggere un’intervista a un pilota così desideroso di appoggiare il culo su una macchina come quella.» Temendo di dare una brutta impressione, Grace ci tenne a specificare: «Mi rendo conto che sia un problema, ma abbiamo un pubblico target e, purtroppo, questo pubblico target non è backmarker-centrico. Quindi storie interessanti come quella della Scuderia Moretti e dei suoi piloti potrebbero passare in secondo piano.»
    Dalia non sembrava intenzionata a demordere.
    «Anders non sarà adatto al tuo pubblico non backmarker-centrico, ma quel pubblico non backmarker-centrico non può ignorare la sua esistenza. Tra l’altro l’intervista non deve essere necessariamente rivolta soltanto alle performance della sua squadra.»
    Grace abbassò lo sguardo.
    «Non saprei. Secondo te potrebbe funzionare?»
    «Dovrei essere io ad avere questi dubbi, non tu!» la spronò Dalia. «A parte gli scherzi, negli Stati Uniti, per un brevissimo periodo, ho avuto un fidanzato giornalista. Non si faceva tutte le paranoie che ti fai tu.»
    «Lui era un vero giornalista, suppongo. Non era un PR che scriveva per un sito web nel tempo libero.»
    «Non importa che cosa fosse» obiettò Dalia. «Quello che conta è non farsi paranoie. Ti assicuro che, con Anders, non vale minimamente la pena di farsene. Non esiterà a farti un bel race recap dal suo punto di vista... anche perché, per come sono messi ora, probabilmente sarà costretto a guardarsi la gara dai box.»
    Quell’ultima prospettiva preoccupava Grace più della possibilità che una potenziale intervista ad Anders Ramirez fosse un flop.
    «Speriamo di no!»
    «Speriamo di no» confermò Dalia, «Ma non credo che ci siano molte speranze. Il mio pronostico è che Ruggeri non riuscirà a scendere in pista durante le prequalifiche. Forse Anders e Schubert riusciranno ad andare in pista in qualifica, ma difficilmente passeranno oltre. Nessuna vettura della Scuderia Moretti prenderà parte alla gara.»
    Grace, che in passato aveva avuto una certa passione per i pronostici, non poté fare a meno di domandarle: «Chi pensi che sia l’altro non prequalificato?»
    «Reyes del Team Athena, con tutta probabilità. Oppure...»
    Dalia non proseguì, ma Grace intuì che cosa volesse dire.
    «Oppure la Volkova, giusto?»
    «Già, la Volkova» convenne Dalia. «È palese a tutti che Irina non sia abbastanza talentuosa per la Golden League. Mi auguro con tutto il cuore che possa riuscire a superare almeno le prequalifiche, ma ne dubito fortemente.»
    Grace osservò: «Penso che tu sia l’unica ad augurarsi che possa avere qualche risultato positivo. Per il resto, chiunque altro non vede l’ora che venga appiedata.»
    «Effettivamente sarebbe la cosa più normale da sperare» ribatté Dalia, «Perché di piloti che meritano quel volante più di lei ce ne sono tanti. Però sai cosa ti dico? Che tutti noi, in qualche momento e in qualunque ambito, ci siamo ritrovati al posto di qualcuno che meritava più di noi. Chi sono io per dire che Irina non merita di stare qui? Magari ci sorprenderà, anche se realisticamente penso di no. Aspettiamo e vediamo.»
    «Aspettiamo e vediamo» ripeté Grace.
    Per quanto la riguardava, dal punto di vista di Irina Volkova non c’era molto da vedere, ma non aveva importanza: se la stessa Dalia non si scagliava contro la collega come avevano fatto altri, chi era Grace per farlo al posto suo?
     
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    Questa Volkova è a parole una sorta di Carmencita...

    Comunque non ho capito bene se Grace è paranoica di facciata o per davvero. Ha comunque convinto Dalia a parlare di cose che inizialmente non sembrava volesse dire.

    Il tutto mentre un team lotta per la sopravvivenza.

    PS: mi è piaciuto lo split tra passato e presente, due ritmi diversi ma comunque colmi d'attesa
     
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    Naaaaahhhhh, Irina è più la controparte femminile di un Ericsson o di un Gutierrez, che una specie di Carmelina 2.0. :D

    Per quanto riguarda Grace, credo (e sottolineo il credo, perché non so al 100% dove andremo a parare) che sia più un mix delle due cose.

    Infine per l'accostamento passato/presente sono soddisfatta nel sapere che la cosa ti è piaciuta, perché credo che la rivedremo in futuro. ^^
     
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    Capitolo 8.

    [...] Prima di mettere la parola fine allo Spanish Double Grand Prix 20**, che si è svolto nel corso dello scorso weekend sul circuito di Jerez de la Frontera, Golden League Racing ha deciso di dedicare un po’ di spazio a uno dei mancati protagonisti del gran premio, nonché imminente protagonista della stagione.
    Anders Ramirez, rientrato in Golden League con la Scuderia Moretti, ha accettato di rilasciare un’intervista sull’andamento generale del campionato, sul doppio appuntamento spagnolo e sulle problematiche che la squadra alla quale ha accettato di unirsi sta affrontando.

    È bene iniziare dall’inizio: ritorni in Golden League dopo una lunga assenza, al volante di una monoposto poco competitiva, dopo avere disputato un’ottima stagione nella Emirates Series. Hai ricevuto critiche anche pesanti per il tuo rientro. Come rispondi a queste critiche?
    Essenzialmente credo che molte persone, sia addetti ai lavori sia esterni, abbiano la spiccata propensione a criticare a oltranza, spesso senza basarsi su dati oggettivi.
    Le principali critiche si possono così sintetizzare:
    1) critiche al legame tra Corujas Blancas e Scuderia Moretti;
    2) critiche al mio passato nella Golden League;
    3) critiche alla mia decisione di abbandonare la Emirates Series.
    Partiamo dai presunti inciuci Corujas Blancas/Scuderia Moretti: credo che molte persone abbiano una spiccata immaginazione.
    Il fatto che il team Corujas Blancas detenga una quota nella proprietà della Scuderia Moretti non significa che noi lavoriamo per loro o per facilitare loro le cose. Rimangono sempre nostri avversari, anche se ovviamente le prestazioni non ci permettono di competere direttamente per i risultati o per la classifica. Non c’è nessun complotto: c’è solo una squadra, quella fondata da mio padre, che ha finanziato un’altra squadra. Il risultato è che, a questo campionato, non prendono parte soltanto sette scuderie ma otto. Non è nulla di paragonabile ai vecchi tempi di gloria, ma si tratta pur sempre di un passo avanti.
    Per quanto riguarda il mio passato nella Golden League, ammetto di non avere un’ottima reputazione. All’epoca avrei potuto anche fare bene, ma ero troppo propenso all’errore. Altrove sono maturato e sono certo che, al giorno d’oggi, non ripeterei certi sbagli. In Golden League non ho mai vinto titoli o gran premi e non sono nemmeno mai salito sul podio... e d’altronde non ho trovato un ingaggio presso una squadra di prima fascia, alla quale possono puntare gli ex campioni del mondo o i piloti che hanno un palmares più ricco del mio.
    Infine, non ho affatto deciso di lasciare definitivamente la Emirates Series, dove credo di avere ancora qualche questione in sospeso, prima di tutto quel maledetto titolo che mi sono lasciato scappare! Mancano ancora sette mesi all’inizio del prossimo campionato e ho tanto tempo a disposizione per decidere che cosa fare.
    Intanto sono qui, con l’obiettivo di aiutare la squadra a superare le difficoltà iniziali. Il nostro potenziale è di gran lunga superiore a quello che abbiamo “espresso” nel Gran Premio di Spagna. Per dirla come va detta, in Turchia abbiamo altri obiettivi: innanzi tutto quello di scendere in pista, dopodiché quello di cercare di superare le prequalifiche con la terza vettura, di qualificarci per la gara e di portare le auto fino al traguardo. Realisticamente parlando sarà difficile realizzare tutto questo, ma almeno una parte degli obiettivi sono alla nostra portata. Visto il poco spessore di certi nostri avversari, dal punto di vista dell’affidabilità delle monoposto e delle doti velocistiche dei piloti, sono certo che Ruggeri avrebbe potuto concretamente puntare a superare le prequalifiche, e in tal caso sarebbe stata tutta un’altra storia.


    ***

    Le prequalifiche dovevano ancora iniziare e il weekend di Giuseppe Ruggeri era già terminato. La Scuderia Moretti aveva annunciato ufficialmente che, per non meglio specificate questioni logistiche, non sarebbero riusciti a schierare la sua vettura per le prequalifiche.
    Caroline Parker si sentì rasserenata: per quanto Irina Volkova fosse forse l’ultima persona al mondo che meritava di appoggiare il fondoschiena su una vettura del Pink Venus Racing Team, era auspicabile che riuscisse a superare almeno la sessione del giovedì. Vista l’assenza della Scuderia Moretti, sarebbero scese in pista appena sette vetture. Sei di esse si sarebbero prequalificate e, con un po’ di fortuna, l’Anna Kravchenko dei poveri sarebbe riuscita a mettersi dietro almeno uno degli avversari. Leandro Reyes del Team Athena era il candidato ideale per trascorrere il resto del weekend a guardare la gara dai box.
    Caroline incrociò le dita per la compagna di squadra.
    “Vai, Irina, dai il meglio di te e cerca di non farti ridere dietro.”
    Oltre a guardare alla prospettiva della squadra, Caroline si preoccupava, almeno in minima parte, anche della collega.
    Irina era una brava ragazza, dopotutto.
    Era cresciuta sperando di diventare come la sua role-model e almeno alla Golden League c’era arrivata.
    Non era sufficientemente preparata per competere nella massima serie, ma parte delle critiche nei suoi confronti erano esagerate: dopotutto Irina faceva parlare di sé perché era una ragazza, mentre gente come Santos o Reyes passavano più inosservati, nonostante prima di arrivare in Golden League fossero stati mediocri tanto quanto la giovane russa.
    Caroline non aveva dubbi: se Reyes poteva farcela, allora poteva farcela anche Irina.

    ***

    Ci sono stati problemi nelle prequalifiche e, così come Irina Volkova, Giuseppe Ruggeri è stato eliminato fin dal giovedì. Ci sono state molte critiche nei confronti della Volkova. Che cosa ne pensi di lei e delle critiche a lei rivolte?
    Per quanto riguarda le critiche, le capisco e, in gran parte, le sottoscrivo. Credo comunque che, dopo i fatti dello scorso weekend, le accuse rivolte alla Volkova dall’opinione pubblica non si siano sprecate.
    Irina non si è qualificata a causa di un guasto al motore insorto circa venti minuti dopo l’inizio della sessione di prequalifiche. Che fino a quel momento, su sette piloti presenti in pista, Irina fosse stata la più lenta nessuno lo mette in discussione. Non si può però affermare con certezza che non sia passata oltre soltanto a causa della propria incapacità: non sappiamo se, in assenza di problemi, sarebbe stata eliminata ugualmente, quindi la logica imporrebbe di lasciarle almeno il beneficio del dubbio.
    Che cosa ne penso di lei? Che non sia così pessima come viene descritta. Probabilmente la sua permanenza nella Golden League non durerà molto a lungo, ma ciò non significa che Irina Volkova non venga fatta passare sistematicamente per peggiore di quello che è. Personalmente non credo che ci riserverà mai grandi sorprese, ma allo stesso tempo ho visto piloti peggiori, in passato, in questa serie.


    ***

    Era stato un fallimento.
    Era stato l’ennesimo fallimento.
    Irina non riusciva nemmeno più a giustificarsi con se stessa.
    Non le era richiesto molto: solo di essere più veloce di Leandro Reyes che, a differenza sua, era riuscito a prequalificarsi al volante di una carretta.
    Evidentemente era il suo destino.
    Non sarebbe mai diventata nessuno; anzi, avrebbe contribuito a infamare l’immagine della donna nel mondo del motorsport, dopo tutte le battaglie vinte dalle sue colleghe soltanto dopo che c’erano state donne in grado di avere risultati di alto livello in serie di rilevanza internazionale.
    Dieci anni prima Anna Kravchenko era stata un simbolo di rivincita.
    A distanza di appena un decennio, Irina non riusciva nemmeno a conquistarsi la fiducia di chi credeva ancora in lei.
    Anna l’aveva incontrata una sola volta nella vita, ed era uno dei momenti che Irina ricordava con maggiore emozione.
    All’epoca era una kartista adolescente con tanti sogni nel cassetto, impressionata dal fatto che la donna che vedeva come una maestra di vita si degnasse di rivolgerle la parola.
    Anna Kravchenko era stata una grande spinta per Irina: il solo essere stata degna, seppure per pochi minuti, della sua attenzione, aveva cambiato la sua vita.
    Ogni volta in cui Irina falliva, sentiva di pugnalare alle spalle non solo la propria famiglia, i propri sponsor e la squadra, ma anche Anna.
    Il Gran Premio di Spagna doveva essere una pietra miliare, per la sua carriera, invece non lo era stato: non si era prequalificata, il che la rendeva involontaria spettatrice di una sessione di qualifiche, di una gara, di un’altra sessione di qualifiche e, infine, di una seconda gara.

    ***

    Cos’è successo in qualifica? Tu e Schubert non siete scesi in pista.
    Come ho già detto, la Scuderia Moretti è arrivata in consistente ritardo, anche nei confronti del Team Athena. Se non fosse stato per un regolamento che ci imponeva di fare presenza, avremmo potuto saltare direttamente il primo appuntamento stagionale e presentarci all’Istanbul Park con maggiori speranze di ottenere qualche minimo risultato.
    Il regolamento, però, lo decide qualcuno che sta molto più in alto di noi e il risultato è stato che siamo venuti a Jerez con la certezza che non avremmo cavato un ragno dal buco.
    In qualifica né io né Jens abbiamo potuto girare, per problemi analoghi a quelli che hanno impedito alla terza vettura di scendere in pista nelle prequalifiche, così ci siamo ritrovati automaticamente esclusi.
    Non dico che il sistema di qualifiche abbia delle falle: anzi, se fossimo riusciti ad essere ammessi alla gara non avremmo certo potuto risolvere magicamente tutto da un giorno all’altro! Non avremmo girato comunque.
    Il risultato è che abbiamo guardato sia le sessioni di qualifica sia le gare dai box, proprio come ha fatto Irina Volkova, che chissà, se non fosse stata colpita da quella disgrazia al giovedì, forse almeno in qualifica avrebbe potuto arrivarci.


    ***

    Di giornate terribili ce n’erano tante, ma quella in cui i piloti titolari e i sei terzi piloti che avevano superato la sessione del giovedì scendevano in pista per qualificarsi era molto più terribile di tutte le altre.
    Caroline Parker e Marcela Lopez Ferreira non avrebbero avuto problemi, non solo perché le Moretti erano ancora agli stessi minimi storici del giovedì, ma anche perché loro erano competitive e fortunate abbastanza da non incappare in qualche assurda disgrazia proprio nel momento in cui una disgrazia avrebbe potuto essere fatale.
    Chiudere gli occhi e sognare a occhi aperti di essere una di loro non avrebbe cambiato le cose, questo Irina lo sapeva perfettamente.
    L’unica cosa che poteva fare era sottostare al ruolo che la legge del caso aveva deciso di appropriarle.
    Quando vide Anders Ramirez nel paddock non poté fare a meno di avvicinarsi a lui, e non solo perché Anders era proprio il genere di uomo a cui gran parte delle donne - a parte Marcela, che preferiva sbavare al cospetto delle hostess del circuito - avrebbero gradito avvicinarsi.
    Per quanto le parole che pronunciò potessero stonare se provenienti dalla sua bocca, Irina era del tutto sincera quando osservò: «Un pilota come te dovrebbe stare sulla griglia di partenza. Mi dispiace per i contrattempi. Spero che in Turchia tu possa rifarti.»
    Non si aspettava né gratitudine né comprensione per un risultato di cui era normale ritenere che ad Anders non importasse un fico secco, invece per qualche verso la ottenne.
    «Spero che possa rifarti anche tu.»
    Da quanto tempo era che una persona che non fosse né legata a lei da un vincolo di parentela né legata da un contratto professionale al team Pink Venus non le rivolgeva parole di quel genere? Tanto, senza ombra di dubbio.
    Irina accennò un sorriso.
    «Grazie.»
    Anders fece l’indifferente.
    «E di cosa? Non può certo andare sempre male!»
    Per lui che era il vicecampione in carica della Emirates no di certo, ma per Irina? Giorno dopo giorno erano sempre più frequenti i momenti in cui si chiedeva perché non mollare tutto.
    Non era senza speranze.
    Aveva un futuro altrove.
    Avrebbe potuto riprendere a studiare o entrare nelle imprese di famiglia.
    Aveva solo ventiquattro anni, era ancora giovane abbastanza per scegliere di intraprendere un'altra strada.
    Nonostante tutto, ogni volta riusciva a superare lo sconforto: poteva scegliere di intraprendere un’altra strada, ma non l’avrebbe fatto.
    Anna non si era arresa alle prime difficoltà.
    Non si era arresa mai, e per lei Anna sarebbe stata sempre una fonte di ispirazione.

    ***

    Corujas Blancas e Scuderia Moretti sono due squadre diverse, ma non si può negare che tu abbia comunque un legame con il team Corujas Blancas.
    Sabato mattina Ethan Harris ha conquistato la pole position per la prima gara. Come ti sei sentito in quel momento?

    Non nego che sia stato un momento di un certo livello. Mio padre ha fondato quella scuderia e ne è tuttora il titolare. Mio fratello è il team manager e mia sorella è terza pilota. Anche se ho vissuto tutto in modo più distaccato rispetto a quanto accadesse quando non ero sotto contratto con un’altra squadra, è stato un momento che ho apprezzato.


    ***

    Grace si stava sbracciando per attirare la sua attenzione.
    Ethan non sapeva se esserne disturbato oppure deliziato.
    L’addetta stampa aveva dimostrato più di una volta di non essere in grado di stare entro i propri spazi, ma quella era un’occasione veramente speciale.
    Avevano conquistato una prima fila.
    Avevano conquistato una pole position.
    Ethan aveva conquistato una pole position e l’aveva fatto al primo tentativo, quando la squadra non poteva certo pronosticare un risultato così positivo.
    Erano stati aiutati da Phoenix e Vega alle prese con qualche guasto di troppo, ma girare più veloci di chiunque altro non aveva prezzo.
    Non erano minimamente vicini al giorno in cui sarebbero saliti sul tetto del mondo, ma avevano comunque qualche chance di guardare da vicino il tetto su cui sarebbero saliti i piloti dei team Phoenix e Vega.
    Ethan amava cercare un lato positivo in qualunque circostanza: inseguire non era la situazione più piacevole, ma inseguire da vicino era molto meglio che inseguire da lontano.

    ***

    Edited by Milly Sunshine - 9/6/2016, 00:23
     
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    La povera Irina non deve farsi travolgere dallo sconforto, la prequalifica è una lotteria e può sempre capitare che qualcosa vada storto anche agli altri.

    Anders sembra pacato nelle risposte, una sorta di Jenson Button (cioè uno che rimane polite anche quando critica qualcosa)
     
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    Hai inquadrato abbastanza il soggetto, diciamo. :D
     
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    In qualifica, oltre alla pole position di Harris, è stato dato molto peso alle prestazioni deludenti di Yoshimoto (12° tempo) e Herrera (14° tempo) nelle qualifiche della prima gara.
    Yoshimoto è riuscito a riprendersi almeno in gara, riuscendo ad artigliare un punto, mentre la Herrera ancor una volta ha deluso.
    Qual è, da esterno, ma comunque vicino al Team Corujas Blancas, la tua impressione su Gara 1 dello Spanish Double GP?

    Harris è partito dalla pole position, ma ha pagato la minore velocità rispetto alla Vega di Nyman, che partiva secondo ma che ci ha messo soltanto pochi giri per raggiungerlo. A quel punto Harris è stato ottimo nel contenere avversari del calibro di Novak e Gomez fino alla fine.
    Yoshimoto è arrivato quinto, il che vista la posizione di partenza è stato un risultato di un certo livello. Purtroppo la Herrera, ottava al traguardo, nonostante la rimonta non ha conquistato punti [il punteggio, a partire da quest’anno, premia i primi sette classificati, rispettivamente con 10, 8, 6, 4, 3, 2 e 1 punti, N.d.A.], diversamente da due delle Sparks (a proposito, ottimo Cruz, che ha chiuso davanti ad Arden).
    In generale, da esterno, mi è sembrato che il team Corujas Blancas non potesse lamentarsi del risultato. Il secondo posto in gara è stato comunque un risultato importante, sia per la squadra, sia per lo stesso Ethan Harris, apparso fin dai primi istanti come il nuovo leader del team.

    ***

    Le occhiate languide che si scambiavano Ethan e Grace avrebbero potuto commuovere soltanto la gente che nel tempo libero piangeva davanti alle telenovele sudamericane.
    Dalia alzò gli occhi al cielo.
    «Non riesco a crederci. Sembra che abbia occhi solo per Grace. Non oso immaginare che cosa sia pronto a dirle e che cosa quella pseudo-giornalista sia in grado di andare a scrivere su quel dannatissimo sito web!»
    «Ethan sarà anche un po’ troppo sdolcinato con la “pseudo-giornalista”, ma tu, da parte tua, mi sembri piuttosto acida» ribatté Jacques. «Fino all’altro giorno eri pronta ad affermare che Grace fosse un futuro talento dell’informazione...»
    «Aspetta, aspetta, io non ho mai detto niente di tutto ciò» lo interruppe Dalia. «Secondo me Grace non è molto portata per quello che si è messa in testa di fare. È troppo indecisa... oppure si finge indecisa per convincerci ad aprirci con lei. Spero che non dia troppo spazio a Ethan. Ormai ne ha già abbastanza. Mi è giunta voce che perfino le fonti serie, dopo la pole di stamattina, lo dessero già come pilota di punta della squadra.»
    «In teoria lo è.»
    «In teoria, appunto» ci tenne a precisare Dalia. «Mi infastidisce il fatto che tutti abbiano già ripreso a screditare Koji, senza che abbia fatto nulla per meritarselo. Finora ha fatto un buon weekend. Va bene, la sua posizione in qualifica faceva schifo quasi quanto la mia, ma mi sembra che si sia ripreso...»
    Jacques non la lasciò finire.
    «Calmati, Dalia. Il weekend è ancora lungo.»
    Dalia sbuffò.
    «È facile da dire, per te.»
    «È più facile per me dirti di stare calma piuttosto che per te calmarti» replicò Jacques, «Questo non lo posso negare, ma non puoi metterti a pensare adesso a quello che dice la stampa. Non è influente abbastanza.»
    «Vallo a spiegare a Mister Delirium, ovunque sia questo weekend. Finché dipendiamo dai suoi soldi, dipendiamo anche dai suoi sbalzi d’umore. Già più di una volta si è lamentato della poca attenzione che i media danno alla nostra squadra. Ha proposto a Mitchell di convincermi a posare per un calendario in biancheria intima, per avere un po’ di risalto.» Dalia si mordicchiò per qualche istante il labbro inferiore, prima di borbottare: «Dato che è così attento alle questioni fondamentali del motorsport, è strano che non sappia che un calendario in biancheria intima l’ho già fatto, più o meno dieci anni fa.»
    Jacques abbassò lo sguardo, senza proferire una sola parola.
    Dava l’impressione di essere stato, a suo tempo, uno degli acquirenti di quel calendario. Chissà, magari lo custodiva ancora preziosamente tra i propri cimeli d’epoca.
    «Sai cosa ti dico?» concluse Dalia. «Prima o poi ne farò un altro, di calendario, ma solo quando avrò una giusta causa nella quale devolvere gli introiti. E non lo farò certo perché è Mister Delirium a suggerirmelo!»
    Jacques alzò timidamente lo sguardo.
    «Sbaglio o sei leggermente meno tesa di poco fa?»
    Dalia accennò un sorriso.
    «Pensare ai calendari è un toccasana. A proposito, non sono ancora andata a fare i complimenti a Ethan. Cosa dici? Aspetto che lui e Grace smettano di tubare o li interrompo, per accertarmi tra l’altro che Ethan non la stia portando verso la perdizione?» Guardò i due con maggiore attenzione. «No, non c’è pericolo. Credo che Grace in questo momento si sia dimenticata di essere una pseudo-giornalista. Si è dimenticata anche che un tempo era Koji il suo favorito.» Scosse la testa. «Povere donne, sono tutte così stupide da pendere dalle labbra di Ethan Harris. Perfino io, due decenni fa, ho fatto lo stesso errore.»

    ***

    Passiamo a domenica: Shane Willis è stato definito da tutti come l’eroe della giornata e ne è stata rimarcata la prestazione straordinaria. Alcune voci controcorrente, invece, hanno attribuito il suo risultato soltanto alla fortuna. Tu da che parte stai? Ci sono altri piloti che ti hanno sorpreso, oltre a Willis?
    Io sto nel mezzo. Willis ha avuto la fortuna di non avere sfortune, diversamente dai due compagni di squadra. Se avessero finito la gara, li avremmo probabilmente visti tutti e tre sul podio. Invece la gara l’ha finita soltanto Willis e ha conquistato un’inattesa vittoria (avrebbe comunque finito secondo, dato che è stato sempre davanti a Suarez).
    La sua prestazione è stata magari non straordinaria, ma comunque ottima: si tratta di un debuttante che ha dimostrato di non avere niente di meno di uno come Novak e che merita di essere un pilota titolare del team Phoenix.
    Tra l’altro si è preso una bella rivincita nei confronti della Parker e di Aruya, doppiandoli all’ultimo giro (a proposito, ottimo risultato per la Parker, che ha preceduto di appena cinque centesimi Aruya sul traguardo, conquistando l’ultimo punto disponibile). [...]

    ***

    Caroline l’aveva fregato di nuovo.
    Gabriel aveva davvero creduto di potersela mettere.
    Ce l’avrebbe fatta, se fosse riuscito a cogliere l’attimo.
    Purtroppo in quell’attimo, il momento in cui era stato più vicino alla Parker, aveva visto le bandiere blu.
    Shane Willis, leader della gara, aveva doppiato entrambi, continuando a involarsi verso la vittoria dell’ultima prova del Gran Premio di Spagna.
    Quel primo weekend si concludeva con una mezza delusione. Avere battuto i suoi ben più blasonati colleghi restava una soddisfazione, ma il non essere riuscito a sbarazzarsi della Parker restava un punto a suo sfavore.
    Si aspettava commenti sgradevoli, perché c’era una grossa parte di mondo convinta che arrivare al traguardo alle spalle di una donna fosse più degradante che arrivare al traguardo alle spalle di un uomo.
    “Non solo Aruya si è fatto raccomandare da una donna, ma addirittura non riesce nemmeno a battere le altre donne.”
    La questione della raccomandazione a Gabriel pareva infondata. Si vociferava che fosse stata Dalia Herrera, per qualche ragione, a convincere Brett Johnstone a non abbandonarlo al proprio destino, ma quelle chiacchiere gli sembravano campate in aria.
    “Perché la Herrera avrebbe dovuto prendere così tanto a cuore la questione?”
    C’era chi si spingeva a ipotizzare ragioni che non stavano né in cielo né in terra e che, per i dettagli, non erano adatte per un pubblico di minorenni.
    Quell’aspetto, più che far inorridire Gabriel, lo divertiva: gli appassionati di fanta-gossip avevano davvero azzeccato la presunta professione della sua fidanzata, ma non avevano identificato la ragazza giusta.
    Era un sollievo.
    I gossip infondati facevano meno danni di quelli veri.

    ***

    [...] Per i piloti che mi hanno sorpreso, ne devo assolutamente citare alcuni. In primis Yoshimoto, che è arrivato secondo, riuscendo a contenere negli ultimi giri la Vega di Nyman, che aveva gomme più fresche e una maggiore velocità di punta. Tra l’altro Koji è arrivato al traguardo con quasi mezzo minuto di vantaggio su Harris, che ha dovuto difendersi strenuamente da Arden e Schmidt del team Sparks nelle fasi finali della gara.
    Schmidt è un altro dei piloti che devo citare: è partito ultimo dopo la rottura del motore nelle qualifiche ed è arrivato sesto al traguardo, staccato di meno di un secondo da Arden. Credo che l’anno scorso al Team Corujas Blancas non sia mai riuscito a dare il meglio di sé e che finalmente stia mostrando il vero se stesso.
    Cito infine la Parker e Aruya, la Parker perché ha conquistato l’unico punto del team Pink Venus, mentre Aruya perché, pur essendoci arrivato soltanto vicino, è stato questo weekend il pilota più performante del Rayo Fatal. Credo che entrambi ci faranno vedere qualcosa di positivo, nel corso della stagione.


    ***

    Nonostante ci fosse la brutta convenzione di considerare importanti soltanto i duelli per le prime posizioni, sul canale ufficiale della Golden League il video di highlight della seconda gara di Jerez de la Frontera (video della durata di appena cinque minuti, mentre la maggior parte delle altre serie pubblicavano gare intere o quantomeno sintesi dettagliate e di lunga durata - certe lezioni erano troppo difficili da apprendere, a quanto pareva) dava a Caroline Parker e Gabriel Aruya il giusto spazio.
    Dalia chiamò Jacques davanti al monitor del computer.
    «Guarda qui!»
    Jacques, che in un primo momento non apparve molto interessato, finì con il proferire in un lungo commento.
    «È stato uno scontro molto bello, non nel vedo senso del termine, per fortuna. Aruya è una potenziale stella del futuro della Golden League. Sarebbe stato davvero un peccato se non fosse riuscito a trovare un volante. Se consideriamo che ha concretamente rischiato di non arrivarci nemmeno, è stato forse il grande vincitore di questo weekend.»
    Dalia sospirò.
    «Almeno lui.»
    Se solo lo Spanish Double Grand Prix per lei fosse stato altrettanto positivo, si sarebbe sentita sollevata.
    Aveva ottenuto come miglior risultato un ottavo posto nella prima gara, arrivando decima nella seconda, e non era affatto qualcosa di cui vantarsi, tenendo conto di ciò che avevano fatto Ethan e Koji in quel fine settimana.
    Gara 2 era stata la più negativa, per lei, non solo per la posizione che occupava quando era giunta al traguardo, ma soprattutto perché, diversamente da quanto successo al sabato pomeriggio, da quella posizione non era mai stata in grado di schiodarsi.
    “L’unica cosa positiva di questo weekend è che è finito... e che Dobson non ha cavato un ragno dal buco, proprio come me!”
    Non era certa che quella prospettiva potesse davvero aiutarla a sentirsi più sollevata, ma almeno per un po’ Karl si sarebbe guardato bene dal fare qualcuno dei suoi proclami. Quando le cose non gli andavano bene, si limitava a tacere, di solito.

    ***

    Non abbiamo finora citato Dobson. Qual è la tua opinione sul suo weekend?
    Karl Dobson è stato forse la delusione del doppio gran premio di Spagna. I vari guasti in cui è incappato nel corso del weekend non l’hanno aiutato, ma anche lui non è riuscito a migliorare le cose.
    Il testacoda in Gara 1 ha messo fine alle sue chance di conquistare punti sabato pomeriggio, mentre in Gara 2 purtroppo ha subito l’ennesimo guasto; un problema al cambio, stavolta, se non vado errato.
    In generale non mi è apparso molto concentrato. Spero che possa rifarsi all’Istanbul Park, perché è spiacevole vedere il campione in carica della Emirates Series mentre arranca nelle retrovie.

    ***

    La Spagna se n’era andata, con le proprie disgrazie e con le proprie delusioni.
    Karl non si era aspettato che tutto volgesse sempre in negativo e che, proprio quando credeva di avere già toccato il fondo, arrivasse puntualmente l’ennesimo problema.
    Non era stato il migliore dei suoi weekend di gara.
    Non era stato nemmeno il peggiore.
    Non avrebbe potuto esserci nulla di peggiore di quello che aveva quasi portato alla sua radiazione.
    Non era stato radiato, a suo tempo, ma era uscito di scena in tempi molto brevi.
    Non era stato una grossa perdita, per la Golden League: così avevano declamato o scritto gli opinionisti del momento, quelli autentici e quelli improvvisati.
    La campagna mediatica contro di lui era iniziata subito, fortemente supportata da chi, per lavarsi la coscienza, aveva pensato di scaricargli addosso responsabilità che non aveva.
    Come conseguenza si era ritrovato senza un volante e aveva dovuto “riciclarsi” altrove, nella speranza che arrivasse un'altra possibilità, anche se in un altro campionato.
    La possibilità era arrivata, per fortuna, ma il lato migliore era che gli aveva riaperto la strada della Golden League.
    Karl Dobson non amava lasciare a metà i propri obiettivi.
    La Golden League aveva perso il lustro di un tempo, mentre lui era sempre lo stesso.
    Avrebbe messo a tacere quel branco di ciarlatani che fingevano di avere la coscienza pulita e che davano segno di avere dimenticato il loro accanimento.
    Diversamente da loro, Karl non aveva dimenticato.
    Non avrebbe dimenticato mai.
    Quel maledetto Gran Premio del Brasile 200* era l’ultimo pensiero con cui si addormentava e il primo con cui si risvegliava.
    Accadeva ogni dannata sera e ogni dannata mattina.
    Accadeva da anni.
    Accadeva ancora, ma finalmente Karl sentiva di essere arrivato a un punto di svolta.
    I risultati ottenuti dai suoi compagni di squadra a Jerez facevano ben sperare per il futuro imminente.
    Forse, se fosse riuscito a ricostruirsi una buona reputazione anche nella Golden League, i fantasmi del passato avrebbero smesso di tormentarlo.

    ***

    Arrivati a questo punto, non ci resta che ringraziare Anders Ramirez per la propria disponibilità e per averci offerto la propria visione del doppio appuntamento di Jerez de la Frontera, dal quale, contro ogni pronostico, Corujas Blancas è in testa alla classifica dei team.
    Il team Vega ha soltanto tre punti di distacco nella classifica delle squadre e all’Istanbul Park l’obiettivo sarà quello di colmare il gap, tentando di prendersi il primato e guardandosi anche dal team Phoenix, staccato di sette punti dalla capolista Corujas Blancas.
    Per quanto riguarda la classifica piloti, invece, non sorprende la presenza di Hugo Nyman in prima posizione, davanti a Harris, Yoshimoto e Willis.
     
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    Mentre assistiamo alla battaglia di Dobson verso i suoi stessi fantasmi, va detta una cosa.

    In questo episodio più che in altri...

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