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Capitolo 40 #HatersGonnaLove
Prancing Horse Fanboy Number One: A volte mi chiedo se i bambolotti autoproclamati piloti di oggi si ricordino, almeno vagamente, che un tempo gareggiavano piloti veri. Quando cadevano due gocce di pioggia, erano perfettamente in grado di rimanere in pista e che non mi si venga a dire che oggi cadevano più di due gocce di pioggia. È vero, cadevano più di due gocce di pioggia, ma la pioggia è sempre uguale. Il dovere di un pilota dovrebbe essere quello di mantenere in pista una vettura anche quando c’è l’acqua stagnante ferma a terra e il fatto che la gara sia stata interrotta è ridicolo. Qualcuno mi dirà che è normale interrompere una gara disputata di notte qualora l’impianto della luce salti, ma io sostengo che non lo sia. Che cosa ne sappiamo noi della ragione per cui è saltata la luce? Chi ci dice che non sia colpa di una lobby dei team che hanno voluto in questo modo evitare che la gara continuasse, affinché non emergesse la palese incapacità dei piloti in condizioni meteo lievemente meno ottimali del solito? Io non mi aggrego a questi teoristi del complotto, ma solo perché si tratta di un complotto che ha messo tutti nelle stesse identiche condizioni, almeno: non c’è stato chi ci ha guadagnato e chi ci ha rimesso, ma solo chi ha fatto la figura del coglione. Dal satellitare risulta che Rosso Ventisette fosse uscito di pista poco prima dell’interruzione della gara, mentre la posizione di Rosso Ventotto non risultava ben chiara, è molto probabile che nessuno dei due sia riuscito ad arrivare nella pitlane. Credo che quei due piloti siano la vergogna del motorsport e, a peggiorare le cose, potrebbero addirittura ritrovarsi a guidare vetture con il logo della Ferrari, nella prossima stagione, quando le tanto insistenti chiacchiere a proposito di una nuova personalizzazione delle squadre diventeranno realtà. Credo che per protesta smetterò di seguire la A+ Series, se una cosa del genere dovesse succedere davvero. Ventisette non merita di indossare una tuta con il logo della Ferrari: dopo il suo incidente, quando credevamo fosse morto, non è mai più stato performante come un tempo, per quanto si illuda di esserlo ancora. Avrebbe dovuto essere radiato dalla A+ Series per la propria incapacità, invece di potere tornare al volante così come se niente fosse. Il caso di Ventotto, invece, è molto peggiore: non ci sono ragioni per cui debba essere uno scarso, se non il fatto di esserlo sempre stato. Se a Ventisette possono essere concesse delle scusanti, non ci sono scusanti per Ventotto, che deve urgentemente essere riconosciuto da tutta la community degli appassionati di motori come il male assoluto del motorsport. Chiunque non lo riconosca farebbe meglio a smettere di seguire la A+ Series e iniziare a seguire i campionati di danza ritmica, nella speranza che non commenti a caso anche quella.
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Nel paddock era tornata la luce. Alysse e Carlos si infilarono nell’area hospitality, illuminata. Guardandosi intorno, Alysse realizzò che tutti i suoi colleghi, o quasi, erano presenti. A parte lei e Carlos tutti portavano ancora il casco in testa. Era stata una decisione saggia, dato che sia Alysse sia Carlos avevano i capelli intrisi d’acqua, ma era certa che in quel momento nessuno si sentisse libero tanto quanto lei e il pilota spagnolo che aveva al proprio fianco. «Ehi, così non vale!» esclamò uno dei piloti vestiti di turchese. «Perché siete venuti senza casco? Avreste dovuto aspettare, come tutti. Che cosa vi mette al di sopra delle regole?» «Taci, coglione!» gli intimò uno dei due in giallo. «Qui non ci sono regole.» «Invece ci sono! Si era detto che avremmo dovuto toglierci il casco tutti insieme, affinché nessuno avesse dei vantaggi.» «E sentiamo, Ottantacinque, quali vantaggi pensi che possano avere avuto loro due?» «Stai zitto e succhiami le palle.» Il pilota in giallo rise, sprezzante. «Certo che sei proprio fissato con le tue palle. Perché non ti spogli e non ci mostri anche quelle, se non puoi farne a meno?» «Ti piacerebbe?» «L’unica cosa che mi piacerebbe fare con le tue palle è metterle in un tritacarne.» «Sei ridicolo!» «A me pare che sia tu il ridicolo.» Bianco Ottanta attirò la loro attenzione schiarendosi la voce. «Quanto tempo avete intenzione di continuare a discutere? Non possiamo semplicemente mostrarci per quello che siamo e poi passare ad altro, tipo bere qualcosa? Sarebbe bello andare a prenderci una birra tutti quanti insieme...» «Voi finlandesi avete sempre l’alcool in testa?» gli domandò Turchese Ottantacinque. «Sembra proprio che non pensiate ad altro che a ubriacarvi.» «Non dovresti essere al corrente della mia nazionalità.» «Stai zitto, grassone.» «Non sono grasso.» «Non come Montoya, ma hai la stazza di un barile.» «Se ti tirassi una testata, ti sbatterei per terra» puntualizzò Bianco Ottanta, «Ed è esattamente quello che farò se mi paragonerai un'altra volta a un barile.» «Non ci credo» ribatté Turchese Ottantacinque. «Tutto quello che sai fare è immaginare di fare da zerbino ad Arancione Tredici.» «Io e Arancione Tredici faremmo una bella coppia, se fossimo in squadra insieme. Non penso che gli farei da zerbino. Sono certo che potrei vincergli un mondiale sotto al naso nello stesso modo di Bianco Ventiquattro.» «Perché, quando mai Bianco Ventiquattro ha vinto un mondiale sotto al naso ad Arancione Tredici?» «Dicevo per dire. E comunque mi sono rotto le palle di questa storia.» Bianco Ottanta si mise a trafficare con il proprio casco, chiaramente intenzionato a toglierselo. Ne apparve un trentenne biondo con gli occhi chiari e i capelli tagliati a spazzola. «Il nostro amico Turchese Ottantacinque ha ragione, sono davvero finlandese. Il mio nome è Valtteri Bottas e sono molto lieto di fare la vostra conoscenza.» Si avvicinò ad Alysse. «Tu, invece? Come ti chiami? E il tuo compare qui a fianco?» «Alysse Montanari.» «Carlos Sainz.» «Come il pilota di rally?» «Sì. Oltre che suo omonimo, sono anche suo figlio.» Altri piloti si sfilarono il casco. I compagni di squadra di Bottas e Sainz si presentarono come Robert Kubica e Sebastien Buemi. Argento Trentanove uscì allo scoperto come Ryuji Watanabe, mentre il suo nuovo compagno di squadra che aveva preso il posto di Yannick si chiamava Pascal Wehrlein. Giallo Sessantuno e Turchese Ottantacinque tenevano ancora i caschi in testa, mentre i loro compagni di scuderia si erano già svelati come Daniel Ricciardo e Felipe Nasr. Uno dei piloti in rosa, un sudamericano che aveva appena dichiarato di chiamarsi Sergio Perez, li pregò di smetterla di discutere e di uscire allo scoperto. L’altro pilota in rosa, tale Esteban Ocon, stava invece litigando con Max Verstappen (Viola Novantanove) che lo accusava di averlo ostacolato in pista. Alcuni dei presenti se ne stavano a fissare la scena come imbambolati. Alla fine ogni pezzo tornò al proprio posto: il pilota che non era mai salito sul podio si chiamava, come volevano i rumour, Nico Hulkenberg, passato vincitore della Ventiquattro Ore di Le Mans. L’altro, quello che gli aveva suggerito di succhiargli le palle, era Kevin Magnussen, figlio di Jan, ex pilota di Formula 1 impegnato nell’endurance. Alysse si accorse con poca sorpresa di conoscere l’identità della maggior parte dei piloti: quello vestito di arancione tacciato di non avere risultati all’altezza delle aspettative si chiamava Stoffel Vandoorne, proprio come sostenevano i pettegoli, mentre anche i piloti delle vetture verdi che facevano da fanalino di coda si rivelarono come André Lotterer e Kamui Kobayashi. “L’unico di cui non conosco ancora il nome è il mio compagno di squadra.” Quel pensiero folgorante la fece sussultare. Si guardò intorno, alla ricerca di qualcuno che indossasse una tuta rossa. La ricerca fu inutile: Ventotto non c’era.
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Prancing Horse Fanboy Number One: Gira voce che Rosso Ventisette sia una donna, ma non abbiamo ancora visto sue foto in abiti civili. Chissà, magari ha posato anche in bikini, in tal caso potrebbe essere meritevole di essere presa in considerazione. Dicono che sia bionda. Spero che si sbaglino e che sia rossa. Ho sempre pensato che le rosse abbiano una marcia in più. Chissà se Ventotto ne era al corrente, prima di questo gran premio. Probabilmente no. Se avesse saputo di avere una donna come compagna di squadra, forse avrebbe cercato di migliorarsi per poterle piacere, invece ha sempre fatto schifo e continuerà sempre a fare schifo. Non è trapelato ancora nulla a proposito dell’identità di Rosso Ventotto. Chissà, forse la soluzione migliore per quelli come lui è non avere un’identità.
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La luce era tornata ormai da tempo. La luce era tornata, ma dentro al cuore di Maelle le tenebre regnavano, mentre scuoteva la testa e sfogava con i suoi collaboratori di vecchia data le frustrazioni di quel giorno. «Non riesco a crederci. Il miracolo è accaduto, ma a causa del blackout non ci sarà mai alcuna immagine di quel momento.» «Non tutto il male viene per nuocere» cercò di rincuorarla Carl. «Chissà, magari il fatto che non ci siano video potrà contribuire a dare una maggiore idealizzazione.» Maelle si mordicchiò un labbro, riflettendo. Sì, aveva ragione Carl, non tutto il male veniva per nuocere, a condizione di saperlo monetizzare nella giusta maniera. «L’identità dei piloti deve essere resa di dominio pubblico» dichiarò. «Deve accadere il prima possibile, per mettere fine al passato oscurantista della A+ Series.» «Non mi pare il momento» obiettò Patrick. «Proprio adesso che...» Maelle non gli permise di terminare il proprio discorso. «Non so se te ne sei reso conto, ma abbiamo appena ricevuto la conferma di quello che è successo. Se non abbiamo un video da far diventare virale, non ci resta che aggrapparci alla nostra unica speranza di farci pubblicità: oggi, dopotutto, è finita la storia dell’ultimo pilota senza identità.»
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Prancing Horse Fanboy Number One: Non credevo di potermi affezionare così tanto a un pilota, proprio io, che per anni ho sostenuto che per me la squadra veniva prima di tutto, anche se la storia recente del motorsport ci ha portato a non avere delle vere e proprie squadre. Non credevo che potesse accadere, ma ho sempre saputo riconoscere il talento dei piloti. Fin da quando Ventotto muoveva i suoi primi passi nelle serie minori ho avuto per lui una sorta di predilezione. Tutti lo amavamo, tutti sapevamo quanto potenziale avesse. È assurdo che la sua morte così improvvisa ci abbia privati dello spettacolo che avrebbe potuto regalarci. Per non parlare del fatto che nella prossima stagione le squadre torneranno ad avere un nome. Non so ancora chi sarà il mio eroe, quando finalmente potrò rivedere una vettura con lo stemma del cavallino rampante al via di un gran premio, ma so non potrò mai amare incondizionatamente un pilota tanto quanto ho amato Rosso Ventotto nel corso di questi anni. Mi ricorderò sempre di lui. Mi ricorderò di lui nonostante tutto, nonostante quello che succederà tra cinque anni o tra dieci. Non so cosa succederà a distanza di dieci anni dal giorno in cui Rosso Ventotto ha ottenuto la sua unica vittoria in carriera, alla fine dello scorso campionato, so solo che a distanza di dieci anni non potrò fare a meno di pensare ancora a lui.
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Alysse mostrò il proprio invito e l’uomo che stava sulla porta si fece da parte per lasciarla passare, senza fare altro che accennare un lieve sorriso che poteva significare qualsiasi cosa, che con tutta probabilità suonava come “era da anni che Alysse Montanari non si faceva vedere a un ricevimento ufficiale della A+ Series”. Il campionato stava per terminare, in maggio, a Montecarlo, proprio come avveniva dieci anni prima, quando Alysse gareggiava ancora, quando Rosso Ventotto aveva vinto il gran premio nel giorno in cui Argento Novantuno vinceva il suo secondo e ultimo titolo mondiale. A differenza di dieci anni prima, quando i piloti della A+ Series erano nascosti dietro a una maschera, anche a loro era consentito di prendere parte agli eventi mondani nel ruolo di sé stessi. Alysse non conosceva i più giovani di loro, mentre sapeva che avrebbe riconosciuto a primo impatto i vecchi veterani. «Ehi, sei venuta!» esclamò una voce, alle sue spalle. Alysse si voltò. «Daniel!» «In persona.» Il pilota un tempo noto come “Giallo Sedici” le mostrò uno dei suoi radiosi sorrisi. «Che fine hai fatto? Non ti sei fatta vedere per anni.» Alysse annuì. «Era mia intenzione non venire neanche quest’anno.» «Poi immagino che la signora Merhi ti abbia fatto cambiare idea.» «Non mi ci far pensare. Non so come si sia procurata il mio numero di telefono, ma mi ha tartassata di chiamate finché non ho accettato l’invito. Più che un’organizzatrice di eventi, Carmen Mehri pare una stalker.» «Chissà, magari è a questo modo che ha sedotto Roberto.» «Non credo. Si dice che Roberto fosse pazzo di lei fin da quando erano ragazzini, stando a quanto ho sentito dire.» Poco interessata alla vita di coppia dei due, Alysse si concentrò su quella del suo interlocutore. «Tu ti sei sposato, alla fine?» «No, figurati. Tu?» «Nemmeno.» «Però mi è stato detto che hai avuto un figlio.» Alysse annuì. «Sì, ha quattro anni. Si chiama Jacques.» «Bel nome. Come mai l’hai scelto?» «Perché sono molto più cinica di quanto tu possa immaginare. Chissà che non possa vincere la Cinquecento Miglia di Indianapolis, un giorno... anche se non sono morta.» Il sorriso di Daniel si spense per un attimo. Per fortuna accadde qualcosa e, nello specifico, qualcuno alle spalle di Alysse esclamò: «Rosso Ventisette! Da quanto tempo! E quanto sei figa con quel vestito!» Alysse si girò, vedendo un ragazzo sui sedici anni che riconobbe subito come L.J. Hamilton. Il padre di quest’ultimo, sopraggiunto insieme a lui, lo afferrò per un orecchio. «Chiedi subito scusa ad Alysse per il tuo commento irrispettoso.» «Non ho detto nulla di male» si difese L.J. «Ci scommetto che lo pensi anche tu.» Dopo un’ulteriore tirata, Lewis lasciò andare l’orecchio del figlio. «Scusami, Alysse. Ho cercato di dargli un’educazione, ma evidentemente ho fallito.» «Figurati. A proposito, gli hai insegnato che quarantacinque anni sono troppi per continuare a gareggiare nella A+ Series o non ancora?» «Glielo insegnerò tra pochi giorni, dopo il mio ritiro» ammise Lewis. «Mi sono sempre detto che la mia carriera doveva essere diversa, ma così non è stato. Ho un’ultima chance di vincere il mio sesto titolo e non voglio lasciarmela scappare.» «Figurati se vincerai» ribatté L.J., «Con tutti quei giovincelli agguerriti che hai intorno.» «Chi sarebbero i giovincelli? Max? Pierre? Con gli standard di una volta sarebbero considerati vecchi pensionati ormai da un pezzo...» Notando un nuovo arrivato che stava per raggiungerli, Lewis aggiunse: «E comunque che è senza speranze puoi andare a dirlo a uno come Sebastian.» Quest’ultimo gli scoccò un’occhiataccia. «Di cosa parli?» «Del fatto che hai vinto quattro titoli e non ne vincerai più.» «Parla quello che ha ancora davanti tanti anni di carriera...» «Innanzi tutto ho vinto un titolo in più di te e questo rimarrà sempre...» Daniel si mise a ridere. «Non farci caso, Alysse, a una certa età bisogna trovare dei modi cretini per passarsi il tempo e Lewis e Sebastian hanno scelto quello di criticarsi a vicenda.» «Comportamento poco saggio» ammise Sebastian, «Perché sarebbe molto più normale criticare te.» «Sai benissimo che a me non importava niente di vincere titoli.» «Solo perché non ne hai vinti...» I due strapparono ad Alysse un sorriso. «Mi siete mancati tutti. Vado un attimo a lasciare la borsa al guardaroba, poi torno da voi.» «Ti accompagno» le disse Sebastian, seguendola. «Hanno cambiato la disposizione, di recente, non vorrei che ti perdessi.»
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Beatrice aveva fatto tante raccomandazioni al figlio, ricordandogli che la signora Merhi le aveva dato il permesso di portarlo con sé, a condizione che rimanesse rintanato nello stanzino che serviva come deposito per giacche, borse e ombrelli. Anthony le aveva rispettate diligentemente, ma saltò fuori all’improvviso, proprio mentre Alysse Montanari e Sebastian Vettel si dirigevano verso lo sportello. Il bambino non sembrava interessato a loro, quanto piuttosto a un nuovo arrivato, che aveva adocchiato molto prima di lei. Beatrice gli scoccò un’occhiataccia, che Anthony ignorò. Prese la borsa della Montanari e le diede lo scontrino per il ritiro, mentre il nuovo arrivato si avvicinava. Anthony schizzò verso la porta e uscì, mentre Beatrice lo richiamava, invano: «Torna subito qua! Ti avevo detto di...» Si interruppe. Suo figlio si era diretto verso l’uomo entrato dopo la Montanari e Vettel. «Tu sei Charles Leclerc!» esclamò. «Ti vedo sempre alla TV! Sei il mio idolo.» Beatrice lanciò un’occhiata supplichevole al pilota. «La prego di scusarlo. Purtroppo ho dovuto portare mio figlio con me perché non sapevo dove lasciarlo... mi aveva promesso che si sarebbe comportato bene, invece ho imparato a me spese che non bisogna mai fidarsi delle promesse di un bambino di nove anni.» «Si figuri, a me fa piacere incontrare un mio piccolo fan» ribatté Charles Leclerc. Si rivolse poi al bambino. «Come ti chiami, piccolo?» «Anthony, come Anthony Noghes, il fondatore del gran premio di Montecarlo.» «Bella scelta» osservò Leclerc. «Complimenti alla mamma e anche al papà.» Beatrice scosse la testa. «No, solo alla mamma. Anthony ha solo me. E adesso è bene che torni qui da me, perché non può stare lì dov’è adesso. Vieni subito qui, Anthony, e smettila di disturbare i signori.» «Veramente non sta affatto disturbando» intervenne Sebastian Vettel, a difesa del bambino. «Mi sembra un bambino piuttosto tranquillo. Magari, Anthony, potresti provare a nasconderti, a metterti un sacchetto di carta in testa, così non darai nell’occhio...» Beatrice scosse la testa. «Certo, proprio il modo migliore per non dare nell’occhio.» Anthony corse verso la porta, per rientrare nella sala del guardaroba. «Mamma, posso prendere quel sacchetto di carta di prima?» Beatrice sospirò. Quella sarebbe stata una lunga serata... molto interessante, però, avrebbe realizzato pochi minuti più tardi, nel momento in cui Charles Leclerc, uno dei piloti di punta della A+ Series, campionato che seguiva con passione fin dall’infanzia, sarebbe tornato con il solo scopo di scambiare qualche parola con lei.
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Fu una serata lunga, ma piacevole. Alysse la passò con Lewis, Daniel e Sebastian, come avrebbe fatto Tina ai vecchi tempi, poi con il solo Sebastian, quando Lewis e Daniel furono troppo ubriachi per potere portare avanti una conversazione sensata. Finirono per parlare, come spesso era accaduto, nel corso degli anni, del passato del motorsport, ancora molto ambiguo. «Proprio ieri» le raccontò Sebastian, «Ho letto un post, in internet, che partiva con un grande dubbio.» «Ovvero?» «Ovvero: se Senna fosse morto qualche anno prima del 2000, Schumacher sarebbe riuscito a vincere il mondiale, in Formula 1?» Alysse abbassò lo sguardo. «Sai qual è la cosa assurda, in tutto questo?» «Quale?» «Che se la gente accettasse l’idea che Senna sia morto nel 1994 e che Schumacher abbia vinto dei mondiali in Formula 1, la domanda sarebbe: se Senna non fosse morto, pensate anche voi che Schumacher non avrebbe mai vinto dei titoli?» «Il tutto senza considerare che i due avevano nove anni di differenza e che la carriera dell’uno non dipendeva dalla carriera dell’altro.» Alysse annuì. «È così che funziona, dopotutto. Il paradosso del “what if” è che, essendoci una sola realtà, possiamo lavorare molto di fantasia e sbizzarrirci. Quando invece ci sono due realtà, si finisce per non avere la più pallida idea di che cosa sia il vero e di che cosa sia il “what if” e tutto diviene ancora più paradossale.» «Ciò che non è paradossale è l’orario» osservò Sebastian, dando un’occhiata all’orologio. «Forse è il caso che me ne vada. Si sta facendo tardi e nel weekend che verrà avrò un gran premio da disputare.» «Io invece non avrò nessuna gara, ma si sta facendo tardi anche per me» ribatté Alysse. «Credo proprio che andrò a recuperare la mia borsa e cercherò di capire se il mio ex compagno di squadra sta ancora parlando con la signora del guardaroba. Sembrava molto affascinato da quella donna...» «In caso stia parlando con lei, lascialo fare» le suggerì Sebastian. «Secondo me sarebbero una coppia stupenda. Li shippo già.» Alysse si allontanò, con un sorriso. Al guardaroba trovò Charles che parlava con l’addetta. Anthony, da parte sua, teneva in testa un sacchetto di carta dal quale aveva tagliato una fessura che lasciava intravedere gli occhi. Sebastian gli aveva dato una pessima idea. Ad Alysse venne spontaneo sorridere, quando il bambino si girò verso di lei. Le venne da pensare che, per qualche verso, ricordasse i piloti dell’epoca dell’anonimato. Poi fece caso al suo sguardo e il suo cuore perse un battito. «Anthony, togliti quella cosa dalla testa!» lo rimproverò la madre del bambino. Alysse lo fermò prima che lo facesse. «No, aspetta, lasciami guardare i tuoi occhi.» Se non avesse visto solo quelli, forse non avrebbe mai notato quella somiglianza. In quel momento seppe per certo perché il figlio della donna del guardaroba avesse solo la madre.
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«Una volta pensavo che il suo parere potesse avere una certa rilevanza» dichiarò Rosso Ventotto, parlando di Prancing Horse Fanboy Number One, «ma più il tempo passa e più mi accorgo che non me ne importa nulla. Il fatto che non sia salito sul carro del vincitore qualche mese fa a Montecarlo lo rende quantomeno una persona coerente.» Rosso Ventisette non ne era affatto sicura. «Quindi sei sicuro che rimarrà coerente nel tempo?» «Spero che lo rimanga» rispose Ventotto. «C'è una sola ragione per cui potrebbe all'improvviso iniziare a idolatrarmi.» Non c’era bisogno di chiedere chiarimenti. Era nei momenti come quelli che Rosso Ventisette avrebbe voluto scappare via a gambe levate, proprio come aveva fatto Argento Novantuno qualche mese prima. Per fortuna Rosso Ventotto cambiò discorso. «Se ti dico un nome, puoi andare a vedere se ha postato qualche foto nuova sui social? Io ho il telefono scarico.» «Sì, certo» rispose Ventisette, con prontezza, felice di potere avere un piccolo diversivo. «Beatrice Dubois.» «Quale social?» Attese le istruzioni di Rosso Ventotto e, quando arrivarono, aprì il profilo di una bella ragazza dai capelli castani. «Chi è?» domandò al compagno di squadra. «L’ho conosciuta lo scorso maggio a un ricevimento a Montecarlo. Lavorava al guardaroba. L’ho invitata a uscire con me, una sera. Ci siamo visti la sera del giorno del gran premio. Abbiamo bevuto decisamente troppo, ma è stata una bella serata. Non la vedo da allora, ma ogni tanto mi vengono dei dubbi. Eravamo molto su di giri, quella sera...» «Siete finiti nello stesso letto» dedusse Ventisette, «E ti manca.» «Siamo finiti nello stesso letto e non abbiamo usato precauzioni» puntualizzò Ventotto. «A volte mi chiedo se quella notte non abbia lasciato una traccia permanente. È per questo che ho deciso di andare a cercarla, non appena tornerò in Europa.» Ventisette annuì. «Se così stanno le cose, potrebbe essere una buona idea.» Dopo quell’ultimo scambio di battute rimasero in silenzio. Era finito il tempo di pensare agli incontri romantici avvenuti mesi prima: il cielo pieno di nubi e la minaccia di pioggia imminente erano sempre lì, in attesa di rovinare quello che in altre circostanze avrebbe potuto essere un meraviglioso gran premio notturno. Rosso Ventisette e Rosso Ventotto si allontanarono l’uno dall’altro. Ogni conversazione sarebbe ripresa in un momento più opportuno, o almeno era quello che pensavano. Non sarebbe accaduto: uno dei due era destinato a una carriera fatta di alti e bassi, senza mai giungere alla vittoria, l’altro era destinato ad essere ricordato come uno dei piloti più promettenti della A+ Series, amato da quelli che un tempo erano stati i suoi più grandi detrattori. Alla fine di quel gran premio Maelle Heidelberg avrebbe fatto una telefonata al leader della classifica della seconda divisione e la vita sarebbe andata avanti, almeno per chi rimaneva.
****** fine ******
Milly Sunshine 13.10.2018 - 21.04.2019
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Credo che sia giusto dare qualche spiegazione a proposito di come sia nato questo progetto e di cosa rappresenti per me. Partiamo dall'aspetto più facile: nel periodo settembre/ ottobre 2018 mi capitò di vedere una foto di un gruppo di kartiste dell'Arabia Saudita. Alcune portavano il casco in testa. Mi domandai perché, ipotizzando che fossero ragazze che portano il velo integrale e che non intendessero posare a volto scoperto, teoria che comunque non combaciava con l'outfit di altre ragazze: alcune erano in tuta, a volto scoperto, ma con il velo a coprire i capelli, alcune addirittura sotto al cappellino con gli sponsor, quindi in linea teorica anche le altre ragazze avrebbero avuto il tempo di coprire la testa e il volto, se la ragione fosse stata quella. Il dubbio rimane tuttora, ma ringrazio fortemente quelle ragazze con il casco in testa: senza di loro, probabilmente non sarebbe nata la mia idea di un plot in cui i piloti erano obbligati a portare il casco in testa, quando erano fuori dalla vettura, e in cui la loro identità non poteva essere rivelata. Da un punto di partenza così erano varie le strade che potevo intraprendere e finii per intraprendere quella che mi avrebbe portato dove siamo arrivati ora, dopo quaranta capitoli: l'universo della A+ Series, quello che doveva rivoluzionare il motorsport ma che ha reso il motorsport quasi lo specchio di quello che sarebbe diventato altrimenti. Soltanto dopo qualche mese di lavoro a questo progetto mi sono spinta verso un altro aspetto che ci tenevo a immortalare in qualche modo: quello del motorsport formato web, in cui tutti pensano di sapere tutto e in cui molti pensano che il risultato che si verifica in pista non dovrebbe essere dettato solo da quello che succede in pista, ma anche dalla volontà popolare. Dal fare affermazioni del tipo "il pilota Tal dei Tali vince per cu*o e non per merito rendendo il mondiale falsato", nella A+ Series si precipita in un universo in cui i tifosi stessi hanno l'illusione di potere condizionare le gare, con a capo una dirigenza che sfrutta la loro poca cultura motoristica per fare soldi. L'ignoranza motoristica che si trova all'esterno si può trovare anche all'interno della A+ Series stessa, come dimostra Prancing Horse Fanboy Number One, ex pilota divenuto opinionista, che nel tempo libero si comporta come un ultrà qualsiasi e ripetendo le solite argomentazioni trite e ritrite, senza nemmeno essere sicuro di esserne convinto, al punto da arrivare a pensare di non sapere più che cosa pensi davvero e che cosa no. Prancing Horse Fanboy Number One, in realtà, probabilmente non è un vero fanboy, ma non è nemmeno un troll: lo scopo di questi ultimi è fare ironia, più o meno pesante, su una certa categoria di fan, mentre lo scopo di costui sembra essere semplicemente quello di diventare popolare sul web, accorgendosi a malapena di limitarsi ad andare dove tira il vento. Può darsi anche che alla fine, quando scrive un post in memoria del pilota da lui tanto screditato quando era in vita, sia davvero convinto di averlo sempre ammirato. In questo lavoro ho voluto inserire anche alcune allusioni a "veri" eventi del motorsport, perché la teoria di fondo è quella che, per quanto si possa cercare di cambiare la realtà (in questo caso il cambiamento è rappresentato dai fake e da un diverso processo di accesso alla massima serie, che finisce per penalizzare piloti che in altre circostanze non avrebbero faticato ad arrivare n Formula 1), gli eventi tendono a capitare lo stesso e non c'è verso di impedire che ciò che deve concretizzarsi si concretizzi. Alcuni eventi sono fortemente ispirati a fatti realmente accaduti (Alonso a Indianapolis, gli incidenti tra Perez e Ocon, il contatto tra Vettel e Hamilton dietro la safety car a Baku, Hulkenberg che non finisce mai tra i primi tre), mentre altri sono un'allegoria dei fatti stessi (la gara in stile Race of Champions, tanto per citare l'esempio a mio parere più pittoresco, ma non è l'unico "messaggio subliminale" a tematica motorsport che ho inserito). Il titolo del capitolo 12, "Live on TV", è ispirato a una canzone degli anni '80 di un gruppo canadese chiamato The Box, nella quale c'è un'allusione alla morte di Gilles Villeneuve seppure non citato per nome, intitolata "Live on TV you can watch them die". Anche il titolo del capitolo 33, "Bye-bye baby" proviene da una canzone, intitolata "Bye baby" del gruppo eurodance Ava & Stone. La canzone non ha nulla a che vedere con il motorsport, ma mi ha sempre fatto pensare, fin da quando l'ho scoperta, al giorno in cui Massa si sarebbe ritirato dalla Formula 1. Un'altra citazione, stavolta non musicale, è quella del blackout al gran premio notturno: in una telecronaca del 2007, Mazzoni riferì che Alonso, a proposito del GP di Singapore che doveva entrare nel calendario l'anno successivo, aveva sollevato un'obiezione a proposito di che cosa sarebbe successo se fosse saltata la luce. Con questo vi saluto, sperando che “Il Paradosso del What If” sia stata una lettura apprezzata, precisando che alcuni personaggi provengono da altri miei universi. Tina Menezes è protagonista sia de “L’Ultima Stella Cadente” sia di “Redbull Angel” (al momento in corso d’opera), L.J. Hamilton compare in altre mie fan fiction compresa “I Colori del Destino” e Beatrice Dubois e suo figlio Anthony sono co-protagonisti proprio di quest’ultima.
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