Redbull Angel

La vera storia di Tina Menezes

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    Se quel Superman che guidava la Redbull nel 2006 avesse salvato una ragazza che affogava, probabilmente sarebbe stato capace di farsela dare al volo, lì sul posto! :woot:

    Lui può, perché... Lui è Leggenda. (cit.)

    CITAZIONE
    Sono d'accordo sul fatto che questa sia una storia più normale. E anche Tina Menezes nella sua anormalità penso che sia una persona più normale, per intenderci, una che se avesse voluto s*opare con il suo compagno di squadra probabilmente ci avrebbe provato con lui in modo esplicito senza aspettare che lui la salvasse da un annegamento. :lol:

    Tina in questa versione mi sembra molto più spigliata rispetto a quelle precedenti, senza però cadere nello stereotipo della donna perennemente incaxxata con il genere maschile. E mi piace!
     
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    Lui può, perché... Lui è Leggenda. (cit.)

    Però adesso che mi ci fai pensare a quell'epoca stava già insieme alla sua attuale consorte e aveva definitivamente archiviato la propria carriera di playboy.

    CITAZIONE
    Tina in questa versione mi sembra molto più spigliata rispetto a quelle precedenti, senza però cadere nello stereotipo della donna perennemente incaxxata con il genere maschile. E mi piace!

    Quella della versione originale era troppo stereotipata per i miei gusti. :lol:
    Sono contenta che ti piaccia.
     
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    Però adesso che mi ci fai pensare a quell'epoca stava già insieme alla sua attuale consorte e aveva definitivamente archiviato la propria carriera di playboy.

    Ah, ok, non me lo ricordavo.

    CITAZIONE
    Quella della versione originale era troppo stereotipata per i miei gusti. :lol:
    Sono contenta che ti piaccia.

    Quella della versione originale aveva la simpatia di un eczema. :asd:
    Questa Tina invece sembra meno tomboy che nasconde la sua fragilità interiore e più donna sicura di sé pronta anche a socializzare.
     
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    Quella della versione originale aveva la simpatia di un eczema.

    Concordo, avrebbe potuto fare una gara di simpatia contro Kmag e perdere. :lol:
     
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    Capitolo 6
    Leader della classifica, ma a caro prezzo


    [Istanbul, 30.05.2010]
    Ogni volta in cui iniziava un nuovo giorno mi sentivo felice, specie in quelli durante i quali si sarebbe svolta una gara.
    Una settimana dopo la mia prima vittoria in carriera sarei partita dalla pole position ed ero carica di speranze e di sensazioni positive.
    Purtroppo c'era anche qualche lato negativo, come la popolarità. Non c'era da stupirsi che, subito dopo il mio arrivo al circuito, quella domenica mattina, Jaime mi stesse già girando intorno. Doveva essersi appostato in attesa del mio arrivo. Possibile che non avesse cose più importanti di cui occuparsi?
    A quanto pareva non ne aveva in quel momento, oppure io ero più rilevante per lui di quanto mi ostinassi a credere.
    Lo salutai con un cenno della mano ed ero già pronta a sfuggirgli, ma l'avevo sottovalutato, dato che riuscì a bloccarmi ogni possibile via di fuga.
    «Tina, meno male che ti ho incontrata.»
    Feci un sorriso forzato.
    «Anche per me è un piacere.»
    «Per me lo è di più» mise in chiaro Jaime. «Ieri pomeriggio ti ho cercata. Volevo venire a farti i complimenti per la tua qualifica, ma non sono riuscito a trovarti. Mi è dispiaciuto parecchio.»
    «Non preoccuparti» lo rassicurai. «Me li stai facendo ora, quindi tutto si è risolto.»
    «A parte i problemi di Fernando.»
    Alzai le spalle.
    «Non mi sono preoccupata più di tanto di quello che gli è successo ieri. So che non è passato all'ultima manche e che partirà dodicesimo, ma può darsi che si riprenda in gara.»
    «Sì, però partirà pur sempre dodicesimo.»
    «La cosa ti emoziona, immagino. Stai già pensando a quando diventerai tu il pilota spagnolo più vincente della storia della Formula 1.»
    Jaime sospirò.
    «Se la Redbull si decidesse a credere in me, potrei anche riuscirci.»
    Ignorai la sua allusione.
    «Com'è andata la tua qualifica, invece?»
    «La vettura ha mostrato i propri limiti. Partirò sedicesimo e al mio compagno di squadra non va tanto meglio: sarà solo due posizioni più avanti rispetto a me. Sarà difficile anche arrivare a punti, oggi. tu, invece, sei una perfetta candidata per la vittoria.»
    Gli scoccai un'occhiata di fuoco.
    «Stai cercando di tirarmela?»
    «No, certo.»
    «Non si sa mai. Più ritirati ci sono tra i top driver e più avrete la possibilità di arrivare tra i primi dieci.»
    Jaime rimase in silenzio a lungo.
    Sembrava che fosse perplesso, o che stesse riflettendo.
    Infine osservò, con un filo di sarcasmo nella voce: «Quindi da rookie sconosciuta sei già diventata una top driver. È questo che pensi di te stessa.»
    Non comprendevo la sua ironia.
    «Che cosa dovrei pensare? Corro per la Redbull e ho vinto l'ultimo gran premio. Non mi sembra di essere una backmarker come Chandhok sulla Hispania Racing.»
    «Non c'è bisogno di andare a scomodare i nuovi team.»
    «Allora» replicai, seccata, «Non mi sembra di essere messa come te, che arrivi a malapena a punti al volante di una Toro Rosso. Sei contento, adesso?»
    «No, per niente. Non fraintendermi, ti ammiro, ma non riesco a capire perché, in primo luogo, ti sia stata data questa possibilità. Voglio dire, per anzianità avremmo dovuto essere io o Buemi.»
    Mi venne da ridere.
    «È la prima volta che sento un ragazzino parlare di anzianità. Lo sai che, se tu fossi al volante di una Redbull e salissi sul podio al gran premio degli Stati Uniti, non ti darebbero nemmeno lo champagne perché sei ancora troppo giovane per bere alcool?»
    «L'importante, per me, sarebbe la gloria del podio, non certo lo champagne» ribatté Jaime. «E poi non c'è più il gran premio degli Stati Uniti.»
    «Ci sono il gran premio del Bahrein e quello di Abu Dhabi, però.»
    «E allora? In Bahrein e ad Abu Dhabi non c'è lo champagne per nessuno.»
    «Però nei locali è consentito consumare alcolici, facendosi rilasciare una licenza, che viene rilasciata soltanto a chi ha compiuto ventun anni.»
    «Stai parlando di niente, Tina.»
    «Hai ragione, lo ammetto. Peraltro non dovrei nemmeno stare qui a parlare. Può darsi che tu abbia poco da fare, ma per me non funziona così. È meglio che vada. Ci vediamo oggi pomeriggio, dopo la gara.» Mi resi conto subito di quanto quelle parole potessero risultare equivoche, quindi mi affrettai ad aggiungere: «Se capita.»
    «Già» convenne Jaime, «Se capita.»
    Ero certa che, in un modo o nell'altro, sarebbe stato in grado di trovare il modo per farlo accadere, quindi mi sarei dovuta impegnare parecchio per evitarlo.
    Non importava.
    Ero una top driver, guidavo una Redbull e partivo dalla pole position davanti a Lewis, a Sebastian, a Jenson e alle Mercedes. Questo mi bastava, non intendevo certo farmi rovinare la giornata da un ragazzino al quale avevo concesso di baciarmi qualche settimana prima.

    ***

    Sulla griglia di partenza, dopo avere completato il giro di formazione, attendevo con ansia che le vetture delle ultime file si mettessero in posizione sulle rispettive piazzole, affinché fosse dato finalmente il segnale di partenza.
    I semafori si accesero, uno dopo l’altro.
    Una luce.
    Due luci.
    Tre luci.
    Quattro luci.
    Cinque luci.
    Chissà se, guardando il gran premio alla televisione, a casa sua, Murray Walker avrebbe esclamato uno dei suoi “go, go, go!”...
    Le luci rosse si spensero.
    Scattai, veloce come un razzo, con la certezza che sarei riuscita a ripetere la mia impresa di Montecarlo, anche se sarebbe stato più difficile. Lungo le strade del Principato avevo colto il momento opportuno per superare il mio compagno di squadra e passare in testa. A quel punto era entrata la safety car che ci aveva accompagnati fino al traguardo.
    Stavolta, se volevo portare a casa un’altra vittoria, avrei dovuto mantenere la testa della gara per cinquantotto giri, tenendo a freno eventuali avversari che, se avessero potuto, mi sarebbero saltati addosso come falchi assassini.
    Dopo pochi metri mi rivolsi al mio ingegnere:
    «Chi c’è dietro di me?»
    «Lewis e Sebastian, sono in lotta per la seconda posizione.»
    Speravo che durasse, che mi permettessero di allontanarmi.
    Non fu così: Lewis prese definitivamente il secondo posto nei confronti del mio compagno di squadra, che scivolò così in terza posizione, seguito a una certa distanza da Schumacher e Button. Il pilota della Mercedes era riuscito a sorpassare il campione del mondo in carica nelle primissime fasi di gara, ma Jenson sarebbe riuscito di lì a poco a tornargli davanti.
    Avere la McLaren di Hamilton letteralmente negli scarichi, ovviamente, non era quello che mi auguravo che accadesse.
    Mi seguiva talmente tanto da vicino che da un momento all’altro avrebbe potuto affiancarmi.
    Quando successe, riuscii a conservare la leadership.
    «Stai dietro e guardami il culo» borbottai, tra me e me.
    Il mio ingegnere si lamentò che parlavo a voce troppo bassa e che le mie parole erano incomprensibili.
    «È tutto a posto» lo rassicurai.
    Lewis si fece sotto un'altra volta.
    Mi limitai a pensarlo, stavolta.
    “Stai dietro e guardami il culo.”
    Lewis mi rimase dietro e mi guardò il culo.
    Mi sbarazzai di lui dopo quindici giri di gara, quando dopo le nostre soste si ritrovò in terza posizione alle spalle di Sebastian.

    ***

    La situazione sembrava totalmente sotto controllo, ma avevo imparato già da tempo che nulla è mai davvero sotto controllo, finché non viene esposta la bandiera a scacchi.
    Via radio il mio ingegnere mi informò: «Meteo-France prevede pioggia.»
    Mi venne spontanea una sola dichiarazione, relativa a quello che accadeva in quel momento.
    «La pista è asciutta.»
    «Meteo-France. Prevede. Pioggia.» Il mio ingegnere doveva pensare che non avessi capito, da come scandiva le parole, mentre ripeteva la propria affermazione. «Pioggia per la fine della gara. Pioggia. Fine. Gara.»
    «Okay, a posto» tagliai corto. «Non pioverà.»
    Non vi era una sola ragione al mondo per cui, nel bel mezzo di un gran premio, dovessi affermare il contrario di ciò che sosteneva il servizio meteo (a parte la grande propensione del suddetto servizio meteo a sbagliare le proprie previsioni), ma nessuno ricordava davvero, dopo la fine delle gare, quello che i piloti avevano dichiarato alla radio.
    O meglio, esisteva la possibilità di passare alla storia, ma bisognava essere particolarmente estrosi. Io non intendevo esserlo quel pomeriggio.
    «Come sono messi dietro di me?» volli sapere, fregandomene di Meteo-France e della remota possibilità che, in un imprecisato momento futuro, potesse scoppiare a piovere.
    «Sebastian è secondo, poi dietro ci sono le McLaren. In quinta e sesta posizione ci sono le Mercedes, ma sono a quindici secondi di distanza dalla McLaren di Button.»
    Dunque, se Button era quarto davanti alle Mercedes, terzo c'era Hamilton.
    Mi faceva piacere: prima me l'ero sorbito io, adesso era giusto che quel fardello toccasse al mio compagno di squadra!
    Da parte mia, seppure il gap che mi proteggeva da Sebastian non fosse particolarmente elevato, mi sentivo finalmente al sicuro, senza avere la pressione altrui sulle spalle.
    Meteo-France, nel frattempo, continuava a fornire informazioni poco accurate che il mio ingegnere mi trasmetteva.
    «Pioggia in quindici minuti.»
    «Okay, va bene.»
    «Fai attenzione all'asfalto scivoloso in curva due.»
    Non avevo idea del perché ci fosse l'asfalto scivoloso in curva due, dato che fino a quel momento non era scesa una sola goccia d'acqua, ma a quanto pareva il servizio meteo non era il solo a inventarsi le cose, a volte lo facevano anche gli ingegneri di gara.
    Lo rassicurai: «Tutto a posto in curva due e anche nelle altre curve.»
    Non c’era proprio nulla che non andasse, a parte il fatto che la sagoma del mio compagno di squadra, negli specchietti, fosse sempre più visibile.
    «Potete dire a Sebastian di ridurre la velocità?» domandai.
    Il mio ingegnere non doveva aspettarsi una simile richiesta.
    «Pensa alla tua gara, non pensare a Sebastian!»
    «Si sta avvicinando troppo» obiettai. «Ditegli di stare più indietro, altrimenti sarò costretta a sforzare troppo il motore per stargli davanti.»
    Se avessi avuto una consapevolezza almeno vaga di ciò che stavo chiedendo, mi sarei morsa la lingua e sarei stata in silenzio. Domandare alla squadra, in mondovisione, se era possibile chiedere al compagno di squadra di rallentare affinché non si facesse troppo pressante era il modo migliore per attirarsi le critiche dei propri detrattori.
    «Le McLaren sono sempre più vicine» fu l’informazione che mi venne trasmessa subito dopo. «Dovete spingere tutti e due, se volete stare davanti.»
    «Quindi Lewis sta rompendo di nuovo i coglioni.»
    Avevo salvato la situazione: una simile affermazione sarebbe stata notata al punto tale da rendere meno rilevante la mia richiesta di poco prima.

    ***

    Qualche goccia stava iniziando a cadere.
    Quelli di Meteo-France avrebbero potuto vantarsi di avere azzeccato la propria previsione, nonostante il fenomeno fosse molto limitato.
    «Anche tre gocce sono pioggia» avrebbero dichiarato, proteggendosi da qualunque genere di critica.
    Dalla radio mi venne comunicato, ancora una volta, di fare attenzione all’asfalto scivoloso nei tratti più bagnati della pista, nonostante lungo la pista non ci fossero tratti bagnati.
    Non c’era nulla che potesse disturbare la mia gara in quel momento.
    O meglio, non c’era nulla, tranne la sagoma della monoposto del mio compagno di squadra, sempre più vicina, al punto tale che non mi sarei stupita se, invece di riflettersi soltanto, negli specchietti, fosse direttamente uscita dagli specchietti della mia.
    «Gli avete detto di stare indietro?» sbottai. «Se mi sta così vicino senza fare niente, disturba la mia gara... e mi sembra evidente che non voglia fare niente.»
    Mi sbagliavo.
    Sebastian si infilò all'interno in curva undici.
    Cos'avevo detto la settimana precedente, quando mi aveva soccorsa mentre stavo colando a picco in piscina? Che se fosse stato dietro di me l'avrei fatto passare per sdebitarmi con lui?
    "Povero illuso, non glielo permetterò mai."
    Avevo retto con Lewis, all'inizio della gara, e se ero riuscita a tenere dietro di me un campione del mondo, sarei riuscita a fare lo stesso anche con il mio compagno di squadra.
    Arrivammo alla curva dodici affiancati.
    Ero certa che Sebastian avrebbe alzato il piede dall'acceleratore. Era l'unico modo che aveva per evitare il contatto.
    Le mie certezze crollarono solo quando sentii l'impatto e mi ritrovai in testacoda in una via di fuga.
    Al mio compagno di squadra non era andata meglio. Anzi, da quel poco che avevo intravisto mentre mi rimettevo sull'asfalto, con l'ala anteriore penzolante, doveva essergli andata molto peggio.
    Le McLaren, nel frattempo, erano in prima e seconda posizione, ma ormai non dovevo più preoccuparmi di loro.
    Raggiunsi i box e ne uscii con l'ala anteriore nuova in terza posizione, con un buon margine davanti alle Mercedes di Schumacher e Rosberg.
    Vari secondi ci separavano e continuarono a separarci anche quando più tardi tagliammo il traguardo, senza che la pioggia si fosse nel frattempo intensificata.
    I due piloti McLaren, avrei scoperto dopo la gara, erano stati protagonisti di un intenso duello, prima di essere messi a freno dalla squadra.
    Chissà, se avessero insistito un po' di più, magari sarebbero finiti fuori anche loro e io avrei vinto.
    Quel pensiero mi fece sorridere, mentre leggevo l'ordine d'arrivo in sovrimpressione sul teleschermo nella sala sul retro del podio.
    Dietro alle Mercedes erano arrivate la Renault di Kubica, le Ferrari di Massa e Alonso, la Force India di Sutil e la Sauber di Kobayashi a completare la zona punti.
    La gara delle Toro Rosso non era stata particolarmente positiva: Alguersuari era arrivato dodicesimo, ultimo pilota a pieni giri, mentre Buemi era arrivato addirittura sedicesimo.

    ***

    Non pensai alla classifica finché non fui interpellata in proposito, in conferenza stampa: avevo lasciato Montecarlo con settantasei punti, quattro in meno del mio compagno di squadra e, mentre Sebastian era rimasto a secco, io l'avevo superato salendo a quota novantuno.
    Sebastian era scivolato giù dalla prima alla quarta posizione, dato che Jenson e Lewis erano saliti rispettivamente a ottantotto e a ottantaquattro punti.
    Questo giustificava molte domanda.
    «Sei una rookie e ti trovi in testa alla classifica, come è accaduto a Lewis Hamilton per gran parte del mondiale 2007, alla sua stagione d'esordio. Cosa significa questo per te?»
    «Significa molto per me.» Mi venne da ridere. «Spero di non fare la stessa fine, ma per fortuna a Shanghai abbiamo già corso! Mi resta solo da sperare che vada tutto bene in Brasile.»
    Lewis abbassò lo sguardo. Avere evocato quei momenti bui non doveva essere stato molto piacevole.
    Lo rincuorai allungandogli una pacca su una spalla.
    «Non prendertela, stavo scherzando. Anzi, non sarà per niente facile rimanere in testa al campionato a lungo. Ci sono tanti avversari molto agguerriti, due dei quali quelli che sono seduti qui vicino in questo momento.»
    Qualcuno, senza chiedere il permesso di intervenire, domandò chi temessi di più tra Lewis e Jenson.
    Decisi di rispondere.
    «Li temo entrambi, ovviamente. Lewis è uno che in pista non vorresti mai avere vicino. Per quanto tu possa non lasciargli spazio, sai già che, se vuole trovarlo, lo troverà. Jenson è più tranquillo, ma sono sempre i più tranquilli quelli che hanno la cantina piena di cadaveri. Se Jenson fosse dietro di me, non sono certa che riuscirebbe a superarmi tanto facilmente quanto potrebbe farlo Lewis. Però se avesse un coltello tra le mani e decidesse di piantarmelo nella schiena, saprebbe esattamente dove colpire.»
    «Cadaveri, coltelli...» intervenne Jenson. «Non oso immaginare che cosa penserà la gente di me.»
    Seguirono un bel po' di risate, infine mi fu posta una domanda che andava a braccetto con quelle precedenti.
    «Sei la prima donna in testa alla classifica del campionato di Formula 1. Che effetto ti fa?»
    Sospirai.
    Ci pensai bene.
    La risposta mi venne spontanea.
    «Sono stata la prima donna ad essere ingaggiata da un top team, a salire sul podio e a vincere un gran premio. In effetti qualcosa mi mancava ancora e ho provveduto a fare anche questo. Non saprei dire che cosa possa significare esattamente per le altre donne che gareggiano. È un po’ un’arma a doppio taglio, perché corro il rischio di diventare lo standard. Non mi stupirebbe di fare lo stesso effetto che ha fatto Danica Patrick qualche anno fa, con l’incremento delle presenze femminili in Indycar e Indylights. Il problema è che qualcuno potrebbe aspettarsi che le altre ragazze siano come me. Qualcuno darà per scontato che, per essere considerate piloti di successo, debbano ottenere i miei stessi risultati... cosa che difficilmente sarà possibile, a meno che non gareggino per Redbull, McLaren, Ferrari o comunque un team che possa dare loro la chance di lottare per il mondiale. Non vorrei che un giorno una ragazza venisse piazzata su una Hispania Racing e qualcuno le dicesse: “se arrivi ultima mentre la Menezes arriva regolarmente a podio, allora sei scarsa”. Non è detto che lo sia. Se mettessimo sulla Hispania Racing piloti come Lewis e Jenson, che hanno vinto entrambi un mondiale, il risultato sarebbe di vederli arrancare, magari un po’ meno di quanto non facciano Chandhok e Bruno Senna, magari riuscendo a contribuire allo sviluppo della monoposto, a battere le Virgin e addirittura le Lotus, ma la competizione rimarrebbe sempre circoscritta ai nuovi team. Per potere significare qualcosa, bisognerebbe vivere in un mondo in cui il tifoso medio comprende tutte le sfaccettature del motorsport. Dubito, purtroppo, che certi concetti siano di facile comprensione ed è per il bene delle altre donne che non vorrei essere presa come punto di riferimento solo per i miei risultati.»
    Alla fine della conferenza stampa, mentre lasciavamo la sala, Lewis mi fece i complimenti.
    «Hai fatto un ottimo discorso. Sarebbe bello se tutti l’avessero ascoltato con attenzione.»
    «Diversamente da come hai fatto te?» lo prese in giro Jenson. «Ti ho visto, che giocavi con il cellulare sotto al tavolo.»
    «Non stavo giocando» obiettò Lewis. «Stavo rispondendo a un messaggio di mio padre, che mi faceva le congratulazioni per la vittoria. Si è anche lamentato del fatto che io abbia dovuto attendere fino ad oggi, per vincere un gran premio, quest’anno.»
    «Gli hai detto che sarà anche l’ultimo?» scherzò Jenson.
    «Ah ah, come sei divertente! Vedrai che, tra due settimane, in Canada, te lo metterò in quel posto un’altra volta!»
    Aveva ragione: a Montreal le McLaren fecero un’altra doppietta, sempre con Lewis davanti a Jenson, dopo un altro duello piuttosto acceso. Fernando si classificò in terza posizione, mentre io e il mio compagno di squadra ci accontentammo di guardarli con il binocolo.
    Mi classificai in quarta posizione, precedendo Sebastian. Stavolta non ci avvicinammo abbastanza da far venire a Christian Horner i capelli bianchi. Dopo i fatti dell’Istanbul Park avevamo ascoltato la sua predica fingendo di essere d’accordo con lui e che l’avere mandato in vacca una potenziale doppietta fosse stato un errore madornale da parte di entrambi.
    Né io né Sebastian, ovviamente, pensavamo di avere fatto alcunché di sbagliato. Ciascuno dei due dava la colpa all’altro dell’accaduto, o almeno era successo subito dopo il gran premio di Turchia. Da allora non ci eravamo più parlati.
    La gara di Montreal avrebbe potuto andare meglio, ma anche molto peggio. Lontani dal terzetto di testa, avevamo un buon margine anche su Rosberg e Kubica, più indietro di oltre venti secondi, ultimi piloti a pieni giri. Buemi arrivò doppiato, ma portò a casa i punti dell’ottavo posto, precedendo le Force India di Liuzzi e Sutil.
    Hamilton si portò in testa alla classifica con centonove punti, tre in più di Button e sei in più di me. Avevo nove punti in più di Alonso e tredici in più di Vettel ed ero piena di aspettativa per Valencia: per il gran premio d’Europa puntavo a volare alto...
     
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    M'immagino i "F*ck" lanciati da Vettel dopo il contatto con Tina. Avranno classificato in tv la trasmissione dei suoi team radio come VM18.
    La citazione dell'articolo di Nonciclopedia secondo il quale Jenson sarebbe un serial killer è un gran tocco di classe, complimenti.
     
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    Ritira i complimenti, non ci avevo pensato, anche se avevo letto quella pagina molto tempo fa! :lol:
    Può darsi semplicemente che io e nonciclopedia abbiamo pensato alla stessa cosa: Jensi è uno che ha vinto un titolo quando ormai sembrava destinato a diventare un backmarker e che ha trollato tutti vincendo quando non dava l'impressione di puntare alla vittoria. Da qui il mio paragone, perché è uno da cui, come pilota, ci si poteva aspettare qualsiasi cosa, come di prenderlo in quel posto da lui a sorpresa proprio quando lo si riteneva inoffensivo.

    Sui f*ck sicuramente ne sono stati pronunciati in abbondanza in questa occasione...
     
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    Capitolo 7
    Volare alto


    [Valencia 27.06.2010]
    Il tempo scorreva a poco a poco, avvicinandomi sempre di più all'orario della partenza del mio gran premio di casa. O meglio, non si poteva dire che quello fosse il mio paese natale, ma Valencia era la città in cui vivevo.
    Se qualcuno mi avesse chiesto se preferivo vincere il gran premio del Brasile o il gran premio d'Europa, ovviamente avrei scelto Interlagos, ma non c'era ragione per cui non dovessi quantomeno fare il possibile per vincere ogni gara che fosse alla mia portata.
    Poco lontano da me, su uno schermo andavano in replica le immagini dei momenti salienti della qualifica del giorno precedente.
    Era andato tutto bene. La prima manche era passata senza intoppi, con le vetture dei "nuovi team" che annaspavano e le Toro Rosso che passavano il turno.
    La seconda manche era andata altrettanto bene, a condizione di non essere al volante di una Mercedes.
    Avevo fatto uno dei giri migliori della mia vita, relegando il mio compagno di squadra al secondo posto.
    Prima e dopo la conferenza stampa si era rifiutato di parlarmi e io mi ero rifiutata di parlare con lui: semplicemente ci ignoravamo, fin dal giorno del nostro incidente all'Istanbul Park.
    Avevo sentito un breve stralcio di una conversazione tra Lewis e Sebastian, a quel punto:
    «Certo che siete proprio strani.»
    «Chi?»
    «Tu e Tina.»
    «Perché?»
    «Ciascuno dei due fa finta che l'altro non esista... nessuno dei due ha fatto nemmeno il minimo accenno all'altro, anche quando parlavate della vostra qualifica...»
    «E allora? Dove sta scritto che io e Tina dobbiamo essere amici per forza solo perché siamo compagni di squadra?»
    «Da nessuna parte. Però, non so, magari avresti potuto farle i complimenti per la pole.»
    «Non c'è bisogno di farle i complimenti per la pole, ci penserà il suo baby cavaliere.»
    Li avevo sentiti ridere e avevo sperato di non incontrarlo affatto, il mio baby cavaliere.
    Ovviamente la fortuna non era dalla mia parte, in più Jaime sembrava avere un radar grazie al quale era capace di rintracciarmi ovunque fossi e di comparire quando meno era opportuno.
    Non avevo potuto fare a meno di ascoltarlo e di scambiare qualche parola con lui:
    «Brava, Tina, oggi sei stata velocissima. Ho scommesso con Buemi che avresti fatto la pole, stamattina, e sono contento di avere vinto la scommessa.»
    «Magari, invece di limitarti a scommettere con Buemi sui miei risultati, cerca anche di migliorare i tuoi e di essere al suo livello.»
    «Ho trovato traffico, per questo sono relegato dietro a due vecchi pensionati.»
    «I due vecchi pensionati sarebbero Schumacher e De La Rosa?»
    «Esatto.»
    «Non sarebbero molto contenti di sapere come li hai definiti. Inoltre anche Buemi è dietro a un vecchio pensionato, mi pare.»
    «Giusto. Barrichello è andato in top-ten e Hulkenberg anche. Strano, le Williams non sono mai state molto competitive quest'anno...»
    «Anche le Renault sono passate entrambe in top-ten, anche se Petrov non è stato molto competitivo quest'anno...»
    «Chi?»
    Non avevo potuto fare altro che scuotere la testa e allontanarmi. Era vero, Vitaly non aveva fatto alcunché di memorabile, fino a quel momento, a parte ritrovarsi invischiato in un acceso duello finito a sportellate con nientemeno che Fernando al gran premio di Istanbul Park, ma Jaime doveva imparare a stare al posto suo.
    Se non altro almeno quel giorno dava segno di averne l'intenzione: da quando ero arrivata al circuito, quella mattina, se n'era sempre stato alla larga e non mi restava altro da fare che sperare che quel trend positivo continuasse.
    Io, da parte mia, ero già focalizzata sulla gara.
    Partivo dalla pole position, ma non dovevo dimenticare che accanto a me c'era Vettel, dietro di noi c'erano Hamilton e Alonso e poi, a seguire, un concentrato di Ferrari, McLaren, Williams e Renault in ordine random.
    Molti dei piloti che avevo intorno non vedevano l'ora di spodestarmi, sapevo che non sarebbe stata una giornata facile.
    Quando venne a intervistarmi Stella Bruno della TV italiana mi sforzai di sorridere e di apparire cordiale.
    «Parti dalla pole, come la vedi per oggi?»
    «Bene, ma spero di non essere miope.»
    «Hai battuto il tuo compagno di squadra e si parla di una tua conferma fino alla fine della stagione...»
    «Io non ne so ancora niente, ma finora il mio contratto gara per gara è sempre stato rinnovato. Sono una precaria, ma nel mio caso essere precaria non è poi così male!»
    «Il pubblico italiano ti ama molto. Hai qualche messaggio per loro?»
    «Sì. Li ringrazio per il loro affetto. Insomma, non corro per la Ferrari, pensavo che mi odiassero... invece no, sono sempre così gentili nei miei confronti...»
    «A proposito di Ferrari, ti piacerebbe guidarla un giorno?»
    C'erano varie risposte che avrei potuto dare a quella domanda, che spaziavano dall' "anche subito" al "sempre meglio che una Lotus team Malaysia", ma optai per quella più politicamente corretta.
    «Sono concentrata sul presente, non sul futuro. Il mio sogno è quello di continuare a correre per un top team, nel corso degli anni. Adesso sono in un top team e sono felice della mia posizione, ma non posso sapere quello che succederà tra due, tre, quattro anni... Come ho già detto, ho un contratto che mi viene rinnovato gara per gara. Potrebbe succedere qualsiasi cosa. Da parte mia lascerò che succeda, sperando che il mio futuro possa essere positivo.»

    ***

    Una luce.
    Due luci.
    Tre luci.
    Quattro luci.
    Cinque luci.
    Mentre tutti gli aspiranti Murray Walker di questo mondo si eccitavano per lo start io trascinavo con me il fardello di partire dalla pole position.
    Fin dal giorno della mia vittoria a Montecarlo avevo pensato che passare in testa a gara inoltrata, quando non c'era più nulla che potesse succedere, nulla che potesse minare il risultato, mi ero chiesta se sarei mai riuscita a vincere un gran premio partendo dalla pole position.
    Non ne ero affatto certa.
    Quel giorno, lo sapevo, ci avrei provato con tutte le mie forze.
    Scattai.
    Conservai la posizione.
    Mi parve che la vettura del mio compagno di squadra, accanto alla mia, non si muovesse.
    Chiesi conferma alla radio, dopo il termine del primo giro.
    «Chi c'è dietro di me?»
    «Hamilton?»
    «Poi?»
    «Alonso e Massa.»
    «Vettel dov'è?»
    «Ha avuto un problema alla partenza, ha perso diverse posizioni. Pensa alla tua gara.»
    Il mio ingegnere aveva ragione, non aveva senso preoccuparmi di che cosa stesse facendo Sebastian, almeno stavolta, che era ben lontano da me e che non poteva in alcun modo minare la mia posizione.
    Dovevo badare a Hamilton e alle Ferrari, ma non sembravano un grosso problema.
    Il secondo giro fu tranquillo, così come il terzo e il quarto e quelli che seguirono...
    ...
    ...
    ...
    ...almeno finché non arrivò il fatidico nono giro.
    Il mio ingegnere mi avvertì: «Sta entrando in pista la safety car.»
    Bene, a quanto pareva qualcuno aveva aperto le danze.
    «Cos'è successo?»
    «Un incidente nelle retrovie.»
    Non aggiunse altri dettagli e non me ne preoccupai.
    Quando giunsi sul luogo dell'incidente vidi una vettura ribaltata che, ovviamente, non riuscii a riconoscere dal fondo, oltre che una sagoma verde incidentata, che riconobbi dai colori come una Lotus team Malaysia.
    Nessuno doveva essersi fatto male, dato che erano altre le questioni che preoccupavano in quei frangenti.
    «Hamilton ha superato la safety car. Può darsi che venga penalizzato.»
    «Ha superato la safety car? E com'è possibile?»
    Avrei scoperto soltanto più tardi che Lewis si era infilato davanti alla vettura di sicurezza quando questa si apprestava a entrare in pista, dal momento che in quel momento venni messa a tacere dal mio ingegnere che sentenziava: «Pensa alla tua gara.»
    Era esattamente quello che stavo facendo prima che lui mi informasse che il pilota che mi seguiva più da vicino rischiava una penalità per un'infrazione che non aveva nulla a che vedere con me e con la mia posizione, ma sul momento non ci pensai.
    Attesi il restart e, quando venne il restart, mantenni la mia leadership.
    Lewis non doveva essere stato ancora penalizzato, dal momento che intravedevo una sagoma grigia nei miei specchietti, sagoma che poi sparì.
    Ero veloce.
    Ero più veloce di tutti.
    Stavo staccando Hamilton e il fatto che a sua volta stesse staccando i piloti che aveva dietro non importava.
    Non avevo idea di chi ci fosse al terzo posto, né di dove fossero andate a finire le Ferrari, ma quello era l'ultimo dei miei problemi.
    Non c'era nulla che potesse accadere, in quel momento, a parte due eventualità che mi spaventavano l'una più dell'altra: avrei potuto commettere un grave errore e mandare in fumo la mia gara, oppure la vettura avrebbe potuto tradirmi e, in senso più letterale, far finire in fumo la mia gara.
    Non accadde nulla di tutto ciò.
    Mentre dietro Hamilton doveva affrontare le conseguenze delle proprie azioni, scontando un drive through per il fatto accaduto in concomitanza con l'ingresso della safety car, il mio vantaggio si faceva ancora più consistente.
    Lewis conservò la seconda posizione. Sarebbe venuto sul podio insieme a me e a Jenson, che si trovava al terzo posto.
    Dietro di loro c'erano degli outsider: Rubinho arrivò quarto, davanti a Kubica, Sutil e Kobayashi. Le Ferrari erano irreperibili: dei due piloti della Rossa soltanto Fernando ottenne punti, ma con una misera ottava posizione.
    Buemi e Rosberg furono gli ultimi a conquistare punti e solo quando lessi il risultato iniziai a chiedermi sul serio che fine avesse fatto il mio compagno di squadra.

    ***

    L’inno brasiliano risuonava su Valencia, la città in cui avevo scelto di abitare.
    Con i venticinque punti della vittoria mi ero portata nuovamente in testa alla classifica piloti, nella quale precedevo Hamilton e Button, i due piloti che avevo al mio fianco mentre la melodia del mio inno sfumava, lasciando posto a quello austriaco della Redbull.
    Le lacrime mi pizzicarono gli occhi al pensiero di dove fossi soltanto un anno prima, di quanto lontana fossi dal vivere il mio sogno.
    Quanto sarebbe durato?
    La Redbull mi avrebbe confermata fino alla fine della stagione?
    E dopo? Cosa sarebbe successo nel 2011? Avrei conservato il mio volante, oppure Buemi, Alguersuari o qualcun altro mi avrebbe rimpiazzata?
    Non importava.
    Sapevo che un giorno sarei dovuta tornare alla realtà, ma quel giorno era ancora lontano.
    Avevo appena conquistato la mia seconda vittoria e mi stava venendo allungato il trofeo.
    Lo alzai, sorridendo tra le lacrime.
    Quando la consegna dei trofei terminò, Lewis e Jenson mi circondarono e mi riempirono di champagne, mentre io mi lasciavo sommergere.
    Ero felice.
    Quello era il giorno più felice della mia vita.
    Avere vinto a Montecarlo era stata una sensazione positiva al punto tale che non l’avrei mai scordata, nemmeno se avessi dovuto ottenere decine di vittorie in carriera, ma a quella se ne andava ad aggiungere una nuova, quella di essere riuscita a conservare la prima posizione per tutta la gara e di avere dimostrato a me stessa che potevo farcela.
    Mi asciugai le lacrime, che comunque si erano ormai confuse con le gocce di champagne.
    In attesa della conferenza stampa mi cambiai la tuta senza nemmeno chiedere ai piloti della McLaren di girarsi. Non mi vedevano come Miss Maglietta Bagnata, ma come una di loro, nello specifico una che quel giorno non avevano visto nemmeno con il binocolo.
    Mi venne da sorridere, mentre iniziavo a passarmi tra i capelli inzuppati il mio ormai inseparabile pettine, preparandomi per le interviste.

    ***

    Vidi Sebastian seduto a terra.
    Teneva in mano il cellulare e accennava un mezzo sorriso.
    Mi accomodai accanto a lui.
    «Cos'è successo di così divertente?»
    Sebastian si girò di scatto.
    Era chiaro che non si aspettava che lo raggiungessi e gli rivolgessi la parola.
    «Cosa vuoi?» mi chiese, con freddezza.
    «Volevo accertarmi che fossi ancora tutto intero.» Allungai una mano e gli sfiorai i capelli. «Ho visto il video dell'incidente. Stai bene?»
    Il suo tono si addolcì.
    «Grazie per l'interessamento, sto bene. Se lo vuoi sapere, ero al telefono proprio con Mark, per questo.»
    «Mark ti ha chiamato per chiederti come stai?»
    «Sì. Fino all'anno scorso avevo un compagno di squadra più gentile di te, dopotutto.»
    «Non sono poi così male» obiettai. «Cos'altro ti ha detto Mark? Come si trova in Indycar?»
    «Non ne abbiamo parlato. Era focalizzato su di me. Mi ha detto che colpire Kovalainen da dietro a quella maniera e spiccare il volo sarebbe stata un'azione più adatta a lui che a me. Dieci anni fa, a Le Mans, riuscì a cappottare due volte nello stesso fine settimana...»
    «Meno male che non saliremo più in macchina fino al prossimo gran premio, allora. Per il momento sei al sicuro.»
    Sebastian si alzò.
    «Al centro medico mi è stato imposto di stare a riposo. Vado a stendermi un po' e a guardare un po' di TV, dato che è meglio che non faccia altro.»
    Lo bloccai prima che si allontanasse.
    «Aspetta, vengo con te.»
    «Dove?»
    «Sono meglio della TV. Possiamo parlare, se vuoi, dirci quello che non ci siamo detti in queste settimane.»
    «Mi stai dicendo che sei finalmente d'accordo con me?» mi chiese Sebastian. «Ammetti di avermi bloccato, in Turchia, e che la causa dell'incidente è questa?»
    «No, per niente» risposi, secca. «L'incidente in Turchia, per quanto mi riguarda, è colpa tua al cento per cento. Ti ritengo ancora responsabile della mia mancata vittoria e non cambierò idea.»
    «Quindi vuoi approfittare del fatto che io non sia in piena forma per uccidermi più facilmente?» scherzò Sebastian. «Devo iniziare a scappare?»
    «No, non devi scappare. Basta solo accettare l'idea che, sull'Istanbul Park, non la pensiamo allo stesso modo. Prima andava tutto bene, tra di noi. All'inizio eravamo due sconosciuti, ma dopo Montecarlo stavamo iniziando a diventare amici... Vorrei tornare a quei giorni.»
    Sebastian scosse la testa.
    «No, Tina, non funziona così. Non si può tornare indietro.»
    «Però si può andare avanti» osservai.
    Sebastian fece un radioso sorriso.
    «Esatto, si può andare avanti.»
    Qualche minuto più tardi ero sdraiata accanto a lui, a guardare un programma televisivo di cui non importava nulla a nessuno dei due.
    «Potresti fermarti per un paio di giorni a Valencia» suggerii. «Hai bisogno di un po' di relax.»
    «Perché proprio a Valencia?» chiese Sebastian. «Farei meglio a tornarmene a casa.»
    «No, faresti meglio a venire a casa mia.» Prima che si facesse strane idee chiarii: «Ho una stanza degli ospiti, non ti sto chiedendo di dormire con me nel mio letto. Solo un paio di giorni, per staccare un po' e per conoscerci meglio.»
    Sebastian ridacchiò.
    «Webber non mi ha mai invitato a casa sua. Neanche Liuzzi e Bourdais l'hanno mai fatto.»
    «Non sono Webber» gli ricordai, «E non sono nemmeno Liuzzi o Bourdais. Loro non ti hanno mai invitato a casa loro, io sì. Allora, vieni?»
    «Certo che sì» rispose Sebastian. «Potrò sempre vantarmi di essere stato ospite di Tina Menezes quando era in testa alla classifica piloti.»

    ***

    Persi la testa della gara due settimane più tardi a Silverstone, quando chiusi soltanto in settima posizione, dopo essere partita dalla pole position: tutta colpa di una foratura occorsa nel corso delle prime fasi della gara.
    Sebastian dimostrò di essersi ripreso alla grande dall’incidente, vincendo il gran premio di Gran Bretagna davanti alla McLaren di Hamilton (nuovo leader della classifica piloti, centoquarantacinque contro i miei centotrentaquattro) e alla Mercedes di Rosberg. Button arrivò quarto (avvicinandosi a me in classifica, ormai soltanto un punto di distanziava, mentre Sebastian e Fernando erano entrambi piuttosto distanti, a centoquindici e novantotto punti), precedendo la Williams di Barrichello, mentre io non riuscii nemmeno ad avvicinarsi a Kobayashi.
    Dietro di me c’era Sutil, ma per fortuna era alle prese con Schumacher e Hulkenberg che lo inseguivano, il che mi diede un po’ di tregua.
    Chi non sembrava intenzionato a darmi tregua era Jaime: baciarlo a Barcellona era stata davvero una pessima idea, peccato che me ne fossi resa conto troppo tardi.
    Me lo ritrovai tra i piedi mentre attendevo pazientemente che la conferenza stampa post-gara terminasse e non fu esattamente un incontro costruttivo.
    Aveva scoperto cos’era successo a Valencia e voleva spiegazioni.
    «Girano strane voci su di te, nel paddock. Sono vere?»
    «Non so di che cosa tu stia parlando. Se vuoi una risposta, dovresti prima essere più chiaro.»
    «Si racconta che Christian Horner ti abbia sorpresa mentre dormivi abbracciata a Sebastian.»
    «È esattamente quello che è successo.»
    Jaime scosse la testa.
    «È assurdo. Dopo quello che c’è stato tra noi...»
    «No, guarda, stai esagerando» replicai. «Non è che ci sia stato molto di importante tra di noi e, in ogni caso, non vedo che problemi tu debba avere. Io e Sebastian stavamo guardando la TV, eravamo entrambi molto stanchi e il programma era noioso, quindi ci siamo addormentati. Se tu volessi evitare di farti delle assurde fantasie in proposito, te ne sarei molto grata.»
    «Io, invece, ti sarei grato se ti rendessi conto del legame che c’è tra di noi e dal quale tu tenti di sfuggire già da tempo» ribatté Jaime. «Ti rendi conto di quanto sei caduta in basso? Ti sei innamorata del tuo compagno di squadra dopo che ti ha buttata fuori pista in Canada.»
    «Non era il Canada, era la Turchia. E poi, comunque, non sono innamorata di lui... e non ho nulla da giustificare con te. Bada ai fatti tuoi e lasciami in pace.»
    Feci per allontanarmi, ma Jaime mi trattenne afferrandomi per un braccio.
    «Tina, ti prego, ascoltami. Sai anche tu che io e te siamo fatti per stare insieme.»
    Alzai gli occhi al cielo, mentre mi liberavo della sua stretta.
    «Tu sei fuori di testa!»
    «No, io sono l'unico che può renderti felice.»
    «Tutto ciò che può rendermi felice è stare sul podio, possibilmente sul gradino più alto. Tutto il resto non conta, per me.»
    «Non ti credo» insisté Jaime. «Quando mi hai baciato, a Barcellona, ho capito che tra me e te c'era un legame speciale.»
    «Te lo ripeto, sei fuori di testa. Sei...»
    Mi interruppi.
    I piloti usciti dalla conferenza stampa ci avevano raggiunti.
    Non avevo idea di quanto Sebastian, Lewis e Nico avessero udito del nostro scambio di battute, ma sufficiente affinché Lewis commentasse: «Wow. Meglio di una soap-opera.»
    «Bada ai fatti tuoi» gli intimai, ma in tono scherzoso. «Dovresti essere solidale nei miei confronti, invece che prendermi in giro.»
    Incurante del fatto che non fossimo più soli, Jaime indicò Sebastian.
    «Tina, guardalo. Come puoi rifiutarmi per uno come lui?»
    Sebastian spalancò gli occhi.
    «Posso sapere di cosa state parlando?»
    «Fantasie» mi affrettai a replicare. «Anzi, per essere più precisi, fantasie di un ragazzino.»
    «Ecco, appunto, i bambini a quest'ora farebbero meglio a non starsene in giro da soli» ribatté Sebastian. «Jaime, perché non te ne torni nel tuo box, invece di collezionare figure di merda?»
    «Vuoi avere campo libero con Tina?»
    «Non capisco la tua allusione, ma non vedo perché dovrebbe essere un tuo problema. Non mi sembra che Tina sia molto interessata a te.»
    Avrei voluto mettermi ad applaudire. Era la prima frase sensata che sentivo da parecchi minuti.
    «Esatto, Jaime» gli fece eco Lewis. «Ti converrebbe lasciare in pace Tina. Mi sembra che tutto ciò che stai ottenendo sia quello di apparire come un bambino intralciante.»
    «Taci, stronzo.»
    «Wow, un ragazzino molto fine. Alla scuola materna non ti hanno insegnato che non si dicono le parolacce?»
    «Non vado più alla scuola materna già da un po', testa di cazzo.»
    «A me sembra che sia tu la testa di cazzo, ma immagino che tu non sia intelligente abbastanza per riconoscerti come tale...»
    Nico si frappose tra i due.
    «Piantatela. Vi converrebbe darvi una calmata.»
    «Levati di mezzo, Barbie» replicò Jaime. «E prima che tu abbia qualcosa da ridire, è stata Tina la prima a paragonarti a una Barbie, qualche tempo fa.»
    Avvampai.
    Sebastian mi afferrò per un braccio e mi sussurrò: «Tina, andiamo via.»
    Quella era un'ottima idea.
    Approfittando della distrazione di Jaime, mi allontanai insieme a Sebastian.
    Fu una liberazione, che interpretai come un segnale positivo. Fu uno dei pochi segnali positivi che mi vennero riservati dal mese di luglio.
    Il gran premio di Germania si svolse nell’ultimo weekend del mese a Hockenheim. Fernando tornò alla vittoria, che gli mancava dal gran premio del Bahrein, non senza polemiche: per buona parte della gara in testa c’era stato Felipe, che poi era stato costretto a cedergli la leadership con un ordine di scuderia.
    Fernando diede segno di volersi intromettere prepotentemente nella lotta per il mondiale, quindi c’era un avversario in più da battere. Il mio compagno di squadra arrivò terzo, incrementando il proprio punteggio più di quanto fecero i piloti McLaren.
    Arrivai sesta, dietro a Lewis e a Jenson. Dietro di me c’erano, in ordine sparso, le Renault e le Mercedes, con Kubica che precedeva Rosberg, Schumacher e Petrov. Non erano questi gli avversari che mi premeva tenere dietro, perché terminare le gare davanti a loro era spesso scontato.
    In Ungheria, ai primi di agosto, le cose andarono un po’ meglio, anche se il mio compagno di squadra tornò alla vittoria. Io arrivai terza, dopo avere passato gran parte della gara a inseguire la Ferrari di Fernando. Felipe chiuse quarto, davanti a un gruppetto di signori nessuno che tennero dietro Jenson. Unica McLaren al traguardo, fu preceduto da Petrov, Hulkenberg e De La Rosa, ritrovandosi come avversario più vicino Kobayashi che, sulla Sauber, chiuse la gara in ottava posizione.
    L’Hungaroring non fu immune dalle polemiche: Schumacher e Barrichello si presero a ruotate per una misera decima posizione. Quel duello fu vinto da Rubinho. Che fosse necessario aspettare la fine della propria carriera per prendersi qualche rivincita?
     
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    Tina e Vettel cominciano ad attaccare bottone, e la cosa non piace PER NIENTE a Jaime. Meno male che Sebastian, il futuro Gangsta-Rapper e Barbie (anche se io in Nico l'ho sempre associato a Ken) sono arrivati a fermare il DJ, da bravi supereroi da fanfiction quali sono.
    CITAZIONE
    Chi non sembrava intenzionato a darmi tregua era Jaime: baciarlo a Barcellona era stata davvero una pessima idea, peccato che me ne fossi resa conto troppo tardi.

    Sì, decisamente! :lol:
    Comunque apprezzo molto i tributi che tu fai a Murray Walker. Totalmente appropriati per il miglior commentatore della Formula 1 di sempre, a parer mio.
     
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    Murray Walker è il migliore anche per me! <3 Mai polemico, mai di parte (anche negli anni '90 nonostante sia sempre stato un grande amico di Damon Hill), pronto a ridere delle proprie gaffe e delle proprie gufate, intrattenitore ma senza esagerare.
    Solo qualche pronuncia un po' improbabile: "THAT'S OLIVAHHHHH PENIS!"

    Essenzialmente pare che Tina stia simpatica più o meno a tutti e che Jaime standole continuamente attaccato al culo si attiri l'antipatia di chiunque. In ogni caso io DJ deve ancora dare il "meglio" di sé.

    PS. Naaaahhhh, per me Rosberg resterà sempre Barbie. Per questa ragione sarebbe stato epico vederlo in Racing Point. :aah:
     
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    In ogni caso io DJ deve ancora dare il "meglio" di sé.

    Ho paura.

    CITAZIONE
    Solo qualche pronuncia un po' improbabile: "THAT'S OLIVAHHHHH PENIS!"

    Povero Panis... :aah:
     
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    Capitolo 8
    Notte a Singapore


    [Marina Bay, 26.09.2010]
    Non feci nemmeno caso a chi mi avesse appena allungato il mio Blackberry. Notai soltanto che avevo ricevuto un messaggio e che l'avevo ricevuto da pochi minuti.
    "È da tanto tempo che non parliamo come si deve. Mi dispiace per come sono andate le cose l'altra volta. Vorrei vederti."
    Pensavo che la tregua fosse destinata a durare, invece no: Jaime era tornato alla carica.
    Ero tentata di infilarmi il cellulare in tasca e di ignorarlo, ma il tono del suo SMS faceva ben sperare.
    "Adesso non posso" mi limitai a scrivergli. "Devo salire sul podio."
    Ero sul punto di infilare il telefono nel taschino della tuta quando lo sentii squillare un'altra volta.
    "Possiamo uscire insieme stasera?"
    "Non mi sembra il caso."
    "Ho capito che non devo provarci con te. Mi sono comportato in modo molto infantile. Vorrei solo spiegarti come stanno le cose e trascorrere con te una serata piacevole."
    Avevo appena finito di leggere l'ennesimo messaggio, scritto da Jaime a una velocità record, quando la visiera del cappellino mi calò davanti agli occhi.
    «Sebastian, smettila di fare il cretino» intimai al mio compagno di squadra.
    «Non sono Sebastian e non sono cretino» rispose Fernando, alle mie spalle.
    Mi girai.
    «Oh, scusami. Non avevo notato che fossi tu.»
    «Ci credo. Eri così impegnata a smanettare sul cellulare che mi hai scambiato per quello sfigatello.»
    «Attento a quello che dici» intervenne Sebastian, dietro di lui. «Rischi di volare giù dal podio.»
    In quel momento mi arrivò un altro messaggio.
    "Ci sei?"
    Sbuffai.
    «Jaime mi sta stressando» borbottai. «Cosa fareste al posto mio?»
    Sebastian rispose, senza esitare: «Lo manderei a cagare.»
    «Jaime è un ragazzino innocente» puntualizzò Fernando. «Non puoi usare un linguaggio del genere con un bambino.»
    Sebastian suggerì: «Allora gli ricorderei che sono già passate le dieci di sera e che farebbe meglio ad andare a letto.»
    «Invece mi ha appena proposto di passare la notte insieme a lui» precisai. «Non so se accettare oppure no.»
    Fernando spalancò gli occhi.
    «Vuole... passare la notte insieme a te?»
    Scoppiai a ridere.
    «Non nel senso che hai capito tu. Voglio dire, sono già le dieci passate, passeranno ore prima che io e lui possiamo vederci e andare da qualche parte...»
    Fernando osservò: «Quindi hai già deciso di accettare.»
    Messa di fronte al fatto compiuto, scrissi a Jaime che a me andava bene incontrarlo e che l'avrei chiamato dopo la conferenza stampa per accordarci su dove e quando.
    Spensi il Blackberry e finalmente riuscii a infilarmelo in tasca.
    Fernando dovette quasi trascinarmi sul podio, dal momento che esitavo.
    Per qualche istante mi tolsi Jaime dalla testa, almeno sul podio, mentre ascoltavo l'inno spagnolo seguito da quello italiano e mi chiedevo quanto tempo sarebbe passato ancora prima di udire l'abbinamento inno brasiliano e inno austriaco... sempre che mi toccasse di nuovo di sentirli uno dietro l'altro, prima o poi. Monaco e Valencia erano ricordi lontani, nonostante il mese precedente a Spa Francorchamps fosse iniziato tutto molto bene.
    Il sabato era stato un giorno fantastico, la domenica leggermente meno.

    ***

    Sul retro del podio, sul quale mi appresto a salire, leggo l'ordine d'arrivo, non potendo fare a meno di pensare che oggi sia andata abbastanza bene.
    Hamilton.
    Menezes.
    Kubica.
    Massa.
    Sutil.
    Rosberg.
    Schumacher.
    Kobayashi.
    Petrov.
    Liuzzi.
    Siamo noi i primi dieci ed è mio dovere essere soddisfatta.
    Lewis lo è di sicuro.
    «Oggi l'abbiamo messo in quel posto a Jenson, Sebastian e Fernando.»
    Sorrido.
    «Decisamente.»
    «Hai idea di che cos'abbiano fatto?»
    «Jenson e Sebastian hanno avuto un incidente tra di loro. Per Fernando dovrebbe essere finita allo stesso modo, ma con qualcun altro.»
    «Bella gara, comunque.»
    «Mhm...» Non ne sono molto convinta, in realtà. «Mi aspettavo qualcosa di più.»
    «Sei sul podio» mi ricorda Lewis.
    «Sì, ma sul gradino più alto ci sei tu!» ribatto. «Partivo dalla pole. Mi aspettavo di ripetermi.»
    «Nel caso la cosa ti sia sfuggita, le vittorie vanno conquistate sul campo.»
    Gli scocco un'occhiataccia.
    «Mi stai dicendo che non sono competitiva abbastanza per vincere?»
    Lewis ride.
    «Non c'è bisogno che tu veda sempre del marcio in tutto quello che ti viene detto.»
    «Sai, le battute sul fatto che io non sia all'altezza di solito non si sprecano... mi viene spontaneo pensare male.»
    «Beh, allora stai calma, rookie. Nessuno pensa che tu stia deludendo le aspettative. Dopotutto sei solo una debuttante e fino a pochi mesi fa ti potevi concedere il lusso di stare al volante di una Formula 1 soltanto nei test delle gomme Bridgestone. Non puntare troppo in alto.»
    Giusto, non devo puntare troppo in alto.
    Me lo devo tenere in mente.
    Devo ricordarmi costantemente che io sto uno scalino più in basso degli altri, perché loro sono piloti affermati, mentre io non lo sono ancora, nonostante abbia vinto due gran premi.
    Forse, se non avessi vinto quelle due gare, farei meno fatica a rimanere realista: Monaco e Valencia sono e saranno sempre un'arma a doppio taglio e continueranno a tenermi ancora per molto tempo lontana dalla realtà.

    ***

    Dopo l'inno spagnolo, anche quello italiano terminò.
    Sul gradino del terzo posto attesi che arrivasse il momento del mio trofeo.
    Lo strinsi tra le mani, poi lo sollevai e regalai al pubblico un radioso sorriso: per quanto un terzo posto non fosse un risultato esaltante, era di più di quanto avessi racconto due settimane prima a Monza, nonostante il gran premio d’Italia mi avesse riservato comunque qualcosa di positivo, dal punto di vista della classifica piloti.
    Dentro di me, nelle ultime due settimane, avevo sperato che Singapore fosse il momento della svolta - dopotutto era un circuito cittadino, sui quali avevo dimostrato di andare leggermente meglio che sugli altri - e tutto ciò che mi rimaneva era la consapevolezza di non sapere fino a che punto la tanto attesa svolta fosse arrivata.
    "Sicuramente Jaime mi farà i complimenti per il podio, anche se non è stata una gara semplice" realizzai, mentre qualcuno, alle mie spalle, mi infilava la bottiglia di champagne dentro la tuta.
    Era Fernando.
    Cercai di sfuggirgli, ma Sebastian mi bloccò.
    Bastava metterli vicini l'uno all'altro in pista affinché dessero l'impressione di volersi prendere a coltellate, ma bastava una giusta causa, nello specifico tormentare me, per convincerli che mettersi a fare comunella in mondovisione fosse la scelta migliore.
    Quando lasciammo il podio, ancora una volta mi ritrovai costretta a cambiarmi la tuta in presenza di due uomini.
    Fernando allungò gli occhi più di quanto avrei gradito, seppure solo per prendermi in giro, dato che commentò: «Se Jaime fosse qui, probabilmente gli verrebbe un infarto.»
    «Non dire assurdità» replicai. «Jaime avrà visto senz'altro donne più attraenti di me.»
    «Questo è poco ma sicuro, senza offesa, però è bello avere vinto un gran premio e ritrovarsi qui con una bella ragazza, non come l'altra volta a Monza in cui c'erano soltanto due brutti uomini...»
    «L'altra volta a Monza sei andato sul podio insieme a Jenson e a Felipe» puntualizzò Sebastian. «A me non pare affatto che Jenson sia un brutto uomo, anzi...»
    Mentre Sebastian elogiava l'aspetto fisico del pilota della McLaren e Fernando si trovava a concordare con lui, mi affrettai a infilarmi la tuta pulita e a passarmi il pettine tra i capelli.
    Dieci minuti più tardi parlavo di quanto un terzo posto fosse incoraggiante dopo non avere potuto ottenere un simile risultato due settimane fa in Italia.

    ***

    Per la prima volta dopo le polemiche di Hockenheim, Fernando è tornato a vincere: è la sua terza vittoria stagionale, che lo avvicina alla vetta della classifica.
    Incredibile ma vero, in prima posizione ci sono io con centottantasette punti, grazie al mio quarto posto di oggi, ma ho solo cinque punti di vantaggio nei confronti di Lewis e tutto grazie al suo ritiro, per un incidente con Felipe avvenuto al via. Se si fosse ritirato anche Felipe, almeno avrei visto il podio, ma il mio connazionale è rimasto aggrappato al terzo posto fino all'ultimo secondo.
    La classifica dice anche che Fernando, Jenson e Sebastian sono tra la terza e la quinta posizione a centosessantasei, centosessantacinque e centosessantatre: pur essendo arrivato soltanto sesto, dietro a una delle Mercedes, il mio compagno di squadra si mantiene vicino ai piloti che lo precedono in classifica.
    L'altro dei piloti Mercedes è arrivato solo nono, dietro a Hulkenberg e Kubica, segno che arriva sempre il momento in cui anche i piloti più invincibili iniziano a perdere qualche colpo... ma solo a metà, con il decimo posto di Rubinho, Michael si è preso comunque la sua piccola soddisfazione.
    Io, da parte mia, dovrei essere contenta, ma non ci riesco: si parla di nuovo del fatto che sono leader della classifica e non posso fare a meno di chiedermi quale sarà la reazione del grande pubblico e degli addetti ai lavori dopo Marina Bay, quando verosimilmente non lo sarò più.

    ***

    «Nonostante il terzo posto» dichiarai, nella conferenza stampa post-gara di Singapore, «Non posso dire di avere centrato tutti i miei obiettivi. Sono arrivata terza, è vero, ma ci saranno sicuramente polemiche. Se non sbaglio, Hamilton ha già dichiarato che il nostro contatto, avvenuto a metà gara, è avvenuto soltanto per colpa mia. Ovviamente non sono d'accordo. È stata una questione di sfortuna, anche per me. Sono arrivata a quasi mezzo minuto di distacco da Fernando e Sebastian e ho mantenuto a stento la posizione su Jenson... avrei potuto puntare più in alto e magari evitare i casini.»
    «Ma così hai messo fuori gioco Lewis e tutti ci abbiamo guadagnato, in classifica» ribatté Fernando, seduto al mio fianco.
    Gli tirai una gomitata.
    «Non dire così, penseranno tutti che l'abbia fatto apposta!»
    «Perché, non è così?» insisté Fernando. «Sei ancora in cima alla classifica, indisturbata, e Lewis è lontano anni luce da te, ormai.»
    «Non proprio anni luce» puntualizzai, dato che Lewis era terzo in classifica a soli venti punti di distacco da me e a nove da Fernando.
    Incredibile ma vero, avevo ancora undici punti in più del più vicino dei miei inseguitori, ma il suo progresso negli ultimi gran premi non faceva affatto ben sperare.
    Avevo un'unica soluzione: vincere in Giappone e magari anche in Corea. Solo in quel modo sarei riuscita a rimanere in lotta per il titolo e a evitare le critiche che, prima o poi, sarebbero senz'altro arrivate.

    ***

    Sapevo che i problemi erano alle porte, ma non pensavo che fossero così vicini.
    La conferenza stampa era finita da non più di cinque minuti e Lewis mi stava già venendo incontro.
    Prima che potesse pronunciare anche una sola parola lo accusai: «Non mi hai lasciato spazio. Avrei potuto lottare per la vittoria, invece guarda com'è finita! Sono stata là a guardare Fernando e Sebastian con il binocolo! Se continui così, meriti di finire alla Lotus team Malaysia, come il tuo ex compagno di squadra.»
    Lewis mi fissò per qualche istante, interdetto, poi mi domandò: «Chi, Kovalainen?»
    «Quanti ex compagni di squadra passati alla Lotus hai?»
    «Solo uno, Kovalainen.»
    «Ecco, appunto.»
    «Stavo seguendo la gara, verso la fine. Speravo che riuscisse ad arrivare tredicesimo. Sarebbe stato un risultato fantastico per una squadra così piccola e disastrata... peccato che il motore gli sia andato a fuoco quando la gara era quasi finita.»
    «E di quello che è successo a noi non hai niente da dire?»
    «Veramente qualcosa da dire ce l'avrei, ma non mi hai lasciato parlare.»
    Aveva ragione.
    Mi ero preoccupata soltanto di scaricare tutte le responsabilità su di lui e non l'ero nemmeno stato a sentire.
    «Parla» lo esortai.
    «Niente, volevo soltanto sapere come stavi» ammise Lewis. «Mi sei sembrata un po' scoraggiata, in conferenza stampa. Volevo solo ricordarti che, per essere una rookie, stai facendo una stagione strepitosa, anche se oggi sei stata meno strepitosa del solito.»
    Realizzai che ero io quella che doveva fare un passo indietro.
    «Mi era stato riferito che mi avessi accusata di averti buttato fuori.»
    «È quello che ho detto, infatti» ammise Lewis, «E lo penso ancora, però sono cose che capitano. Lo sai che ti voglio bene lo stesso.» Mi fece segno di avvicinarmi a lui e mi abbracciò, sussurrandomi: «Vedrai che la prossima volta arriveremo entrambi davanti a Fernando.»
    Tra le sue braccia mi lasciai andare a un sorriso.
    Dietro di me, nel frattempo, qualcuno si schiarì la voce.
    «Tina, avevi detto che mi avresti chiamato, ma sei sparita nel nulla!»
    Mi allontanai da Lewis di scatto e mi girai a guardare Jaime.
    Feci mente locale. Dietro a Button erano arrivati a punti anche Rosberg, Barrichello, Kubica, Massa, Sutil e Hulkenberg, quindi non avevo nulla di cui congratularmi con lui.
    Mi limitai a replicare: «Potevi almeno lasciarmi il tempo!»
    «Lo vedo quanto eri impegnata» ribatté Jaime, sprezzante. «A quanto pare li prendi in considerazione solo quando corrono per un top team.»
    Prima che potessi parlare, Lewis intervenne, intimandogli: «Taci, poppante. Tina non ti sopporta, nel caso tu non te ne sia accorto.»
    «Forse non sei informato bene, allora» rispose Jaime, «Dato che Tina mi ha invitato a uscire con lei stasera.»
    Non era andata proprio così, ma decisi di non fare le precisazioni del caso.
    Mi rivolsi al pilota della Toro Rosso.
    «Vieni con me, così ci accordiamo per la nostra serata.»
    Lewis si allontanò scuotendo la testa. Doveva pensare che mi fossi rimbecillita del tutto.

    ***

    Io e Jaime camminavamo l'uno accanto all'altra nella notte di Marina Bay.
    Le luci artificiali rischiaravano la città e il mio accompagnatore indossava la maschera del ragazzo maturo, adesso che aveva ottenuto finalmente ciò che voleva.
    Non potevo negarlo, si accontentava con poco.
    Gli bastava liberarsi la coscienza una volta per tutte e farlo con una dichiarazione che avrebbe potuto pagare a caro prezzo.
    «Forse qualcuno ti avrà detto che avevo fatto una scommessa con il mio compagno di squadra, a proposito di te.»
    Non gli sarebbe costato nulla, decisi. Era ancora giovane, gli potevo concedere certi comportamenti infantili, a condizione che non si ripetessero nel tempo.
    «Mi è stato detto.»
    «Da chi?»
    «Ha importanza?»
    «Mi piacerebbe sapere se c'è qualcuno che trama all'ombra alle mie spalle.»
    Alzai gli occhi al cielo.
    «Quanto sei melodrammatico.»
    «Hai ragione, scusami. Il fatto è che non so mai come fare, quando sono a contatto con te. A volte mi sembra di avere fatto la cosa giusta, poi vedo che ci sei rimasta male... a volte, quando ti vengo a parlare, dai l'impressione di volere scappare a gambe levate...»
    «Molto dipende dagli argomenti, non credi?» replicai. «Comunque, tornando a te e a Buemi, perché avete fatto quella scommessa?»
    Mi aspettavo che accusasse il suo compagno di squadra di essere l'artefice di quella trovata, ma mi sbagliavo.
    «Non lo so. Ce l'avevo con te perché avevi ottenuto un volante così prestigioso, senza fare lo stesso percorso di tutti noi, che forse non ci arriveremo mai... quindi ho deciso di architettare un finto corteggiamento, per fare sì che ti affezionassi a me. A quel punto ti avrei messa da parte, per vendicarmi di quello che avevi ottenuto, nella mia ottica a mie spese. La scommessa l'ho aggiunta perché volevo vantarmi con qualcuno delle mie conquiste.»
    «Grazie per la sincerità. Adesso vuoi un premio?»
    Jaime fece una mezza risata.
    «No, vorrei solo che sapessi l'altra verità.»
    «Perché, ce n'è anche un'altra?»
    «Sì che c'è» rispose Jaime. «Da quando ci siamo baciati, mesi fa, non ho mai smesso di pensare a te. So che potrei non apparire tanto credibile, visto quello che è successo... ma ti assicuro che non mi è mai piaciuta nessuna tanto quanto te e che spero da tanto tempo, ormai, che un giorno tu possa ricambiarmi.»
    Mi fissò con i suoi occhi di un azzurro molto brillante e ci mancò poco che mi commuovessi.
    Ero preoccupata da me stessa.
    Smisi di preoccuparmi soltanto qualche istante più tardi.
    Ero schiacciata tra una parete e il corpo di Jaime. Il "ragazzino" mi stava baciando con avidità e il mio più grande desiderio era che continuasse, ma solo perché non potevo nutrire speranze maggiori come quella di spingermi oltre, visto che ci trovavamo in un luogo pubblico.

    ***

    Non si poteva dire che non fossi una persona determinata: erano passati poco più di venti minuti dal momento in cui Jaime mi aveva baciata e lo stavo invitando a salire nella mia stanza.
    Spalancò gli occhi.
    «Sul serio?»
    Dovevo averlo spiazzato.
    Sorrisi.
    «Perché no?»
    Feci per avviarmi, ma Jaime rimaneva fermo. Fui costretta ad afferrarlo per un braccio e quasi a trascinarlo, perché si decidesse a seguire.
    Temevo che potesse improvvisare qualche trovata cretina del tipo "chissà se Buemi mi crederà quando gli racconterò cos'è successo", ma non accadde, pertanto non fu necessario cacciarlo via a calci nel fondoschiena.
    La nostra notte, tuttavia, fu stravolta da un colpo di scena non indifferente.
    Mi accorsi di non avere con me la chiave.
    Forse non avevo proprio chiuso a chiave...
    Feci un tentativo.
    Abbassai la maniglia e la porta si aprì.
    Pensavo di trovare il buio e il silenzio più assoluto, ma non fu così: trovai il mio compagno di squadra seduto a guardare la TV.
    Per un attimo restammo tutti in silenzio, poi Jaime osservò: «Vendetta fantastica, Tina. Mi hai fatto credere chissà che cosa, invece mi hai portato qui soltanto per prendere parte a una partita a carte o a qualcosa del genere.»
    Sebastian rise.
    «O magari per un threesome.»
    Strabuzzai gli occhi.
    «Che cosa...»
    Non feci in tempo a terminare la frase.
    Jaime si era già voltato e se ne stava andando via.
    «Ehi, aspetta!» lo pregai. «Io non sapevo che...»
    Jaime mi interruppe: «Ho capito il messaggio. Io volevo illuderti e tu hai illuso me. Non mi aspettavo che fossi così stronza, ma evidentemente è quello che meritavo per come mi sono comportato. Buon proseguimento di serata, Tina.»
    Non potei fare altro che guardarlo uscire e richiedere la porta alle proprie spalle.
    Mi girai verso Sebastian.
    «Si può sapere cosa ci fai qui? Chi ti ha dato il permesso di entrare?»
    «Non me l'ha dato nessuno» precisò il mio compagno di squadra, «Ma non avevi chiuso la porta a chiave e non avevo voglia di aspettarti nel corridoio. Qualcuno avrebbe potuto chiedermi chi fossi e cosa volessi.»
    «Quindi sei entrato e ti sei messo a guardare la TV come se niente fosse.»
    Sebastian mi strizzò un occhio.
    «Preferivi che mi mettessi a frugare tra la tua biancheria intima?»
    «Sì, così avrei avuto una scusa per ucciderti. Si può sapere che cosa sei venuto a fare?»
    Sebastian mi allungò qualcosa che teneva in tasca.
    «Hai lasciato in giro questo e ho pensato che domani potesse servirti.»
    Mi avvicinai.
    Vidi che mi stava porgendo il mio passaporto.
    Mi affrettai ad afferrarlo e ad appoggiarlo su un ripiano.
    «Grazie mille, non mi ero proprio resa conto di averlo perso! Però ciò non toglie che è stato piuttosto scortese da parte tua venire qua e... hai visto quello che è successo. Avresti potuto farmi una telefonata.»
    «L'ho fatta» replicò Sebastian. «Ne ho fatta più di una. Il tuo telefono è qua, in questa stanza, non ce l'avevi con te.»
    «Devo essermelo dimenticata.»
    «Mi sembri un po' distratta. È il tuo baby cavaliere che ti fa questo effetto?»
    Sospirai.
    «Avresti potuto evitare di fare quella battuta assurda sui threesome e spiegargli che cosa ci facevi qui. Jaime penserà davvero che volessi invitarlo a un torneo di briscola. Oppure potrebbe andare peggio, potrebbe credere che io ti abbia dato per qualche motivo la chiave della mia stanza e...»
    Sebastian non mi lasciò finire.
    «Ci tieni proprio tanto al tuo baby cavaliere.»
    «Meno di quanto tu possa pensare. Però avevamo fatto i nostri programmi. L'avevo invitato qui per...»
    «Sì, ho capito che intenzioni avevate. Solo, non mi sembravi una da scopate occasionali. Dai addirittura l'impressione di non avere mai fatto sesso.»
    Avvampai.
    «Come lo sai?»
    «Cosa?»
    «Che non...»
    Mi presi la testa tra le mani.
    Perché mi ero ritrovata nel bel mezzo di una simile conversazione, quando avrei dovuto accompagnare Sebastian alla porta?
    «Non lo sapevo» chiarì il mio collega. «Me l'hai detto tu adesso. O meglio, non me l'hai detto, ma me l'hai fatto capire. Era un'impressione che mi davi perché mi sembri un po' imbranata con i ragazzi.»
    «Tu, invece, sei un impiccione. Alza immediatamente il culo ed esci dalla mia stanza, altrimenti non rispondo più delle mie azioni.»
    Per mia fortuna, Sebastian si alzò senza controbattere.
    Per mia sfortuna, non uscì dalla mia camera come gli avevo chiesto.
    «Secondo me meriti di meglio» mi disse. «Con Jaime sprechi solo il tuo tempo.»
    «È vero, è giovane e un po' infantile, ma non me lo devo sposare, quindi va bene così, sempre ammesso che io abbia ancora qualche possibilità con lui.»
    «Sei bella, ricca e famosa. Non hai bisogno di lui.»
    «Okay, però adesso sparisci e lasciami in pace.»
    «Va bene. Ci vediamo presto.»
    Ridacchiai.
    «Purtroppo.»
    «Tanto so che fa piacere anche a te.»
    Finalmente il mio compagno di squadra si degnò di dirigersi verso la porta, ma lo trattenni prima che se ne andasse.
    «Aspetta un attimo.»
    Sebastian si girò molto lentamente.
    «Cosa c'è?»
    «C'è che se racconti a qualcuno che non ho mai fatto sesso o che stanotte avrei voluto farlo con Jaime, ti puoi considerare morto.»
    «Vedrò cosa posso fare.»
    Scattai verso di lui e lo afferrai là dove non batte mai il sole (eccetto per i nudisti).
    «Non ci provare!» gli intimai.
    Sebastian fece una smorfia.
    «Lasciami.»
    Come risposta strinsi ancora più forte.
    «Giurami che non dirai niente a nessuno.»
    «Tutto quello che vuoi» concesse Sebastian, «Ma lascia andare le mie palle.»
    Feci ciò che mi aveva chiesto.
    Fuggì via dalla stanza. Doveva essere quello l'effetto che facevo sui ragazzi!
     
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    [Suzuka, 08.10.2010]
    Il giovedì, tutto sommato, era stato un giorno tranquillo. Certo, Jaime mi aveva fulminata con lo sguardo e aveva tirato dritto senza dire niente, nell'unico momento in cui ci eravamo incontrati nel paddock, mentre Sebastian faceva il possibile per rimanere lontano da me, ma non mi aspettavo niente di diverso, visti gli eventi di Marina Bay.
    Per fortuna nessuno a parte me e i diretti interessati erano al corrente di quegli avvenimenti, per cui tutto ciò che era accaduto il giorno precedente era stato un continuo accennare al fatto che fossi in testa al mondiale quando mancavano quattro gran premi alla conclusione, il che andava a controbilanciare il fatto che non avessi più vinto un gran premio fin da Valencia e che ne avessi vinti soltanto due, nel corso della stagione.
    In alcune occasioni avevo dichiarato che potevo ancora invertire la tendenza e arrivare a quota sei, alla fine della stagione, ma era ovvio che non ci credevo.
    L'impressione che avevo era quella di avere già dato il meglio e che non ci fosse più molto che potessi fare per costituire una vera sorpresa.
    Al venerdì mattina ero ancora convinta che fosse appena iniziato un weekend normale.
    Arrivai al circuito in largo anticipo, aspettandomi di sentire ancora le stesse solite voci a proposito della mia leadership del campionato, sempre che non fosse giunto il momento di dedicare un po' di attenzione alla pioggia prevista per il fine settimana.
    Non andò così.
    Scoprii che il team principal mi aspettava e che intendeva parlare con me con una certa urgenza.
    Il cuore mi fece un balzo nel petto. Per caso qualcuno, in alto, si era deciso di guardare al futuro e di farmi un contratto fino alla fine della stagione o, perché no, anche per la stagione successiva?
    Misi da parte le mie speranze non appena mi ritrovai a tu per tu con Horner.
    Lo salutai, ma il team principal non ricambiò il saluto, desideroso di arrivare subito al punto.
    «Chiariamo una cosa, Tina: quello che fai nella vita privata non mi interessa, sei libera di frequentare chi vuoi, anche se sono piloti, ma abbi almeno la decenza di non finire sulla bocca di tutti.»
    Spalancai gli occhi.
    «Come, prego?»
    «Ieri sera si sono riversate sul web tante indiscrezioni su di te» puntualizzò Horner. «Ne parla anche qualche giornale, stamattina. Com'è possibile che tu cada dalle nuvole fingendo di non saperne niente?»
    «Non passo il mio tempo a cercare il mio nome su Google per scoprire che cosa si dica su di me» replicai, «E non mi metto a comprare e leggere giornali il venerdì mattina, prima delle prove libere. Anzi, non li leggo nemmeno, i giornali...»
    «Faresti bene» ribatté Horner, con un pizzico di sarcasmo. «Almeno sapresti che hai sedotto e abbandonato Jaime Alguersuari.»
    Scossi la testa.
    «No, è assurdo. Non...»
    «Così hanno raccontato alla stampa delle "fonti vicine alla coppia".»
    «Deve essere stato lo stesso Jaime» obiettai, «Altro che fonti "vicine alla coppia". Io e Jaime non siamo mai stati una coppia. Non so che cosa si sia messo in testa quel ragazzino, ma...»
    «Qualunque cosa si sia messo in testa, c'entri anche tu» mi interruppe Horner, in tono accusatorio. «Ti rendi conto che questa vicenda da fotoromanzo lede la nostra immagine? Siamo una squadra relativamente recente e dobbiamo lavorare giorno dopo giorno per costruirci una reputazione di team serio...»
    «Quindi la reputazione della Redbull dipende da quello che si racconta a proposito di me e di un pilota della Toro Rosso?»
    «Le fonti "vicine alla coppia" narrano che tu abbia sedotto e abbandonato il suddetto pilota della Toro Rosso perché non è altolocato tanto quanto il tuo compagno di squadra.»
    «Queste "fonti vicine alla coppia" devono per forza condizionare la nostra immagine o il nostro modo di operare? A me pare che tu stia dando troppa importanza a un mucchio di porcherie. Per giunta sono certa che sia stato proprio quel ragazzino a organizzare tutto questo.»
    «Impossibile» dichiarò Horner. «Jaime è un ragazzo molto serio e responsabile. Sulla tua innocenza, invece, ho qualche dubbio. Mi sembri più sveglia. Sicuramente conosci gente che non si farebbe scrupoli, se ci fosse da guadagnarne un po' di popolarità.»
    «Essenzialmente, se ho capito bene, le "fonti vicine alla coppia", secondo te, le ho fatte conoscere io a Jaime.»
    «Esatto. Jaime è un ragazzino, come hai detto tu. Sono abbastanza convinto che non abbia frequentazioni per così dire sconvenienti. Tu, invece? fino a che punto posso fidarmi di te? A volte il successo dà alla testa. Probabilmente è quello che è capitato a te ed è la ragione per cui ti sei comportata in modo così tanto irresponsabile.»
    Sospirai.
    «Ti ho detto che non sapevo niente di questa storia finché non me ne hai parlato tu. Secondo te sono così cretina da sbattere in piazza la mia vita privata in modo completamente distorto?»
    Horner rimase in silenzio per qualche istante.
    Non mi illudevo che la predica fosse finita, ma non mi aspettavo certo la domanda spiazzata che mi fece quando decise di riprendere a parlare.
    «Che cosa c'è tra te e Sebastian?»
    Lo fissai per un attimo con la bocca spalancata, poi risposi: «Non c'è niente.»
    «Posso fidarmi?»
    «Sì che puoi fidarti. Non si ritroverà anche lui sedotto e abbandonato e costretto a raccontare i fatti nostri alla stampa.»
    «Meno male. L'importante è essere certo che, di due piloti, almeno uno dei due non si sia completamente rimbecillito. Per cortesia, cerca di stare lontana anche da Jaime.»
    «Fidati, starò lontana da Jaime» dichiarai. «Dopo la sua meravigliosa trovata, tutto ciò che avrei voglia di fare con lui è prenderlo a schiaffi. Immagino che non sia il caso.»
    «No, non è affatto il caso» replicò Horner. «E ora, per cortesia, vai. Mi hai già fatto perdere abbastanza tempo.»
    Avrei potuto cogliere l'occasione al volo per dileguarmi senza aggiungere altro, ma non sempre avevo l'abitudine di fare la cosa più saggia.
    Lo guardai con fermezza e precisai: «Non sono io che ti ho fatto perdere tempo, sei tu che hai voluto perderlo. Che bisogno avevi di metterti a parlare di quello che dicono di me i tabloid online? Sei tu che ti metti dei problemi dove non ce ne sono.»
    «Invece ce ne sono» insisté Horner. «Nello specifico sei tu il problema.»
    «Allora licenziami e metti quel bel fenomeno con gli occhi azzurri al mio posto» sbottai. «Vediamo se avrai finalmente un clima tranquillo e senza rumour sulla vita sentimentale dei tuoi piloti.»
    «È molto probabile che sia Jaime a succederti, nella prossima stagione, se ti può consolare» dichiarò Horner. «Ormai ha l'esperienza sufficiente per cavarsela in un top team, avendo avuto un progressivo miglioramento. Mi raccomando, non farti sfuggire una sola parola. Per il momento è bene che la stampa non venga al corrente di indiscrezioni di questo tipo. È meglio che le discussioni a proposito del tuo sostituto avvengano soltanto a stagione conclusa, quando l'attenzione su di te sarà messa in secondo piano. E ora, per cortesia, levati di torno.»
    Feci ciò che Christian Horner ordinava.
    Lo lasciai solo, riflettendo su quanto avevo appena appreso.
    I miei giorni erano contati, a quanto pareva non avevo la benché minima possibilità di stravolgere la situazione, indipendentemente dai miei risultati, perché il mio "baby cavaliere" aveva convinto la dirigenza della Redbull a dargli una chance.
    Mi venne spontaneo chiedermi perché Alguersuari e non Buemi, che mi sembrava un pilota più competitivo, oltre che meno infantile e perdigiorno, ma non era un problema mio.
    Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era il finale della stagione in corso.
    Se c'erano poche possibilità di essere pilota titolare della Redbull per il 2010 c'era ancora la speranza di potere diventare la prima donna a vincere il titolo.
    Appiedare il personaggio più discusso della storia del motorsport recente non sarebbe stata una mossa ben vista. Forse nel 2011 sarei stata alla Toro Rosso, a piedi oppure in un qualsiasi team minore e la squadra con la quale avevo vinto sarebbe stata accusata neanche troppo velatamente di avere ucciso la gallina dalle uova d'oro.
    Non che l'idea di essere paragonata a una gallina mi facesse piacere, ma le uova d'oro erano un dettaglio che non mi disturbava.
    Mentre uscivo incrociai Sebastian.
    Il mio compagno di squadra tentò di sfuggirmi, come faceva fin dalla notte in cui l'avevo afferrato violentemente per i testicoli, ma lo bloccai.
    «Preparati a leccare l'asfalto sul quale passo io, tu insieme a tutto il resto di questo team di perdenti.»
    Sebastian mi guardò storto.
    «Non so che cosa ti passi per la testa, ma credo che tu abbia bisogno di un bravo psichiatra, perché hai dei problemi seri.»
    «Presto avrai dei problemi anche tu» gli assicurai, «Quindi cerca di non pensare troppo a me.»
    «Lo ripeto, tu sei una pazza senza autocontrollo.»
    «E tu sei un coglione come tutti gli altri.»
    «Come ti pare, adesso però lasciami in pace. Se sei incazzata con il mondo non puoi prendertela con me senza motivo.»

    ***

    Scendemmo in pista per la prima sessione di prove libere sull'asciutto: la pioggia di cui tanto si parlava non era ancora arrivata.
    La Redbull si mostrò fin dal primo momento la vettura più competitiva presente sul circuito quel giorno e io e il mio compagno di squadra svettammo in testa alla classifica dei tempi... o, per meglio dire, il mio compagno di squadra svettò in cima alla classifica dei tempi, mentre io lo seguivo molto da vicino.
    Non c'era problema, Sebastian non mi spaventava affatto, potevo tenerlo sotto controllo. Quello che mi premeva era stare davanti ai nostri avversari delle altre squadre, dato che qualcuno di loro avrebbe potuto balzare in testa alla classifica qualora mi fossi lasciata distrarre.
    Doveva essere il mio giorno fortunato, dal momento che Lewis andò a sbattere e riportò danni alla vettura tali da essere costretto a guardare la seconda sessione dai box mentre noi scendevamo in pista, quel pomeriggio.
    Mi confermai seconda dietro a Sebastian, mentre la McLaren annunciò che sulla vettura di Lewis sarebbe stato sostituito il cambio e che, di conseguenza, avrebbe dovuto scontare cinque posizioni di retrocessione sulla griglia di partenza.
    Quando scesi dalla vettura, qualcuno tra i giornalisti che mi girarono intorno mi chiede notizie a proposito di Jaime, ma me la cavai con un gentile "no comment".
    Jaime doveva essere abbastanza appagato dal polverone che aveva sollevato con le sue dichiarazioni ai tabloid spacciandosi per una fonte riservata, dal momento che non me lo ritrovai intorno.
    Interpellato a proposito delle prove libere dichiarò che anche lui, se fosse stato al volante di una Redbull, sarebbe riuscito senza problemi a far registrare il miglior tempo.
    Non avrebbe avuto bisogno di una Redbull.
    Avrebbe avuto bisogno di una cascata di pioggia che si riversava in pista e di una pista sulla quale c'era solo lui...
    ...
    ...
    ...
    ...e al sabato mattina fu accontentato, anche se in pista insieme a lui scese anche Glock al volante di una Virgin.
    Fu chiaro fin dal primo minuto che il circuito era impraticabile e che era destinato a rimanere tale per tutta la durata della sessione.
    Stavamo guardando già tutti avanti, noi che eravamo rimasti ai box, ma guardare avanti non servì a niente: il diluvio che aveva iniziato a cadere quella mattina non si placò quando venne il pomeriggio e tutto lasciava pensare che non fosse possibile disputare le qualifiche.
    Il tempo passò sperando che la pioggia potesse calare e, per qualcuno, evitando nel modo più assoluto la stampa.
    Io non mi misi quel genere di problemi e, quando vidi Stella Bruno che si avvicinava, la raggiunsi invece di andare a rintanarmi ai box.
    «Siamo qui con Tina Menezes, leader della classifica. Ieri, con l'asciutto, abbiamo visto che le Redbull erano le vetture più competitive. Come la vedi per oggi?»
    «Male» risposi, «Non perché non siamo veloci abbastanza anche con la pioggia, ma perché non credo proprio che riusciremo a scendere in pista oggi.»
    «Cosa succederà, se non andrete in pista?» mi chiese Stella. «Hai qualche indiscrezione?»
    «Veramente no» ammisi. «Non so cosa succederà, forse le qualifiche saranno rimandate a domani mattina, come successe qualche anno fa sempre a Suzuka. Mi pare che fosse il 2004.»
    «Era il 2004 e Schumacher ottenne la pole position.»
    Mi venne spontaneo osservare: «Dubito che la otterrà anche quest'anno.»

    ***

    «Grazie per la fiducia.»
    Sobbalzai.
    Non avevo sentito nessuno alle mie spalle, fino a quel momento.
    Mi girai di scatto.
    «Michael, mi hai fatto prendere un colpo! Che cosa ci fai qui? Sei venuto a lamentarti perché maltratto il tuo amichetto Sebastian? Ti avrà sicuramente detto che sono una persona terribile...»
    «Non ho parlato con Sebastian di te» obiettò Michael. «Ti ho sentito, circa un'ora fa, che parlavi con Stella Bruno.»
    «Stavamo parlando in italiano» replicai. «Come hai fatto a capire?»
    «Capisco l'italiano meglio di come lo parlo. E comunque, per la cronaca, non lo parlo così male come dicono.»
    «Meglio per te, comunque non ho ancora capito cosa vuoi, se non sei qui per difendere il tuo amico.»
    «Ho solo commentato la tua poca fiducia nei miei confronti. Prima hai detto a Stella che sono senza speranze.»
    Lo guardai negli occhi.
    «Perché, credi davvero di averne?»
    «La vera domanda non è se credo di avere speranze» ribatté Michael. «Sembra che il resto del mondo abbia un interesse quasi morboso per i miei risultati. Tutti a fare illazioni su come posso sentirmi se non vinco...»
    «È la maledizione di chi ha vinto. O mantieni i tuoi standard del passato, oppure non vali niente.»
    «È questo che pensi?»
    «No, ma a volte mi chiedo come ti sia possibile non pensarlo di te stesso. Se io avessi vinto quanto te, non sono sicura che...»
    Michael mi interruppe: «Ti assicuro che non ho problemi per quello che succede ora.»
    «Deve comunque essere difficile per te non essere al volante della Ferrari del 2004.»
    «Ho vinto anche con tutte le monoposto che ho guidato tra il 1991 e il 2006, non c'era bisogno di quella del 2004 nello specifico.»
    Accennai un lieve sorriso.
    «Questo deve essere un modo gentile per invitarmi a farmi i cazzi miei.»
    «Non proprio» obiettò Michael, «Ma rimane il fatto che solo ciascuno di noi sa che cosa desidera. Io desidero essere considerato un pilota normale. Non deve essere così difficile fare caso a quelli che vincono, invece di fare caso a me.»
    «Se non dovessero esserci le qualifiche, la griglia di partenza verrebbe stilata in base ai numeri di gara. Partiresti dalla prima fila.»
    «Dalla seconda. Ho il numero 3.»
    «Sì, ma Lewis che ha il numero 2 sarà retrocesso di cinque posizioni. Partiresti in prima fila accanto a Jenson e potresti avere la tua chance.»
    «Le qualifiche si svolgeranno regolarmente» sentenziò Michael. «Ci saranno domattina, ma vedrai che ci saranno, anche se dovesse diluviare.»
    «Che cosa te lo fa pensare?»
    «Le polemiche che potrebbero esserci se le qualifiche non ci fossero.»

    ***

    La previsione di Michael si rivelò corretta e le qualifiche si svolsero la domenica mattina, soltanto poche ore prima della gara.
    La pioggia ci lasciò in pace e tutto andò nel migliore dei modi: ero ancora dietro a Sebastian, ma la classifica mi diceva che non dovevo preoccuparmi di lui, non ancora, almeno.
    Hamilton conquistò il terzo tempo davanti a Kubica e ad Alonso, i cui compagni di squadra non avevano avuto accesso alla top-ten.
    Button era soltanto sesto davanti alle Mercedes e alle Williams in ordine sparso, ma sarebbe partito comunque davanti a Lewis, relegato all'ottavo posto in griglia.
    Nelle ore che seguirono non ebbi nemmeno il tempo per respirare.
    Arrivammo sulla griglia di partenza soltanto in ventitre: il mio connazionale Di Grassi, al volante di una Virgin, ebbe un incidente durante il giro di schieramento.
    Il giro di formazione seguì senza che accadesse nulla di degno di nota.
    Le luci rosse si accesero, una dietro l'altra.
    Poi si spensero e iniziò il gran premio del Giappone, nel mio caso non nel migliore dei modi, dato che vidi una sagoma gialla inserirsi tra la mia vettura e quella del mio compagno di squadra.
    Subito dopo il mio ingegnere di gara mi informò che dietro di noi si era scatenato il caos, con due incidenti che avevano coinvolto diverse vetture.
    Petrov era tra i piloti ritirati, Massa anche.
    Riconquistai la seconda posizione grazie a un errore di Kubica dietro la safety car: lo vidi uscire di pista e non mi preoccupai più di lui. Da un lato fui soddisfatta di essere tornata ad essere la vettura più vicina a quella del leader, dall'altro realizzai che il pilota della Renault non sarebbe più stato utile per inserirsi tra me e chi mi seguiva, portando potenzialmente via punti agli avversari.
    «Chi c'è dietro di me?» domandai.
    «Alonso.»
    «E dietro di lui?»
    «Le McLaren.»
    «Chi è davanti tra Lewis e Jenson?»
    «Button.»
    Mi sentii sollevata: era l'avversario che temevo di meno dal punto di vista della classifica.

    ***

    Bastò poco per capire che la Redbull avrebbe portato a casa una doppietta, quel giorno, visto di quanto staccavamo la Ferrari e le due McLaren. Nulla avrebbe potuto privarci di un simile risultato, a meno che io e Sebastian non ci fossimo esibiti in una replica di quanto già accaduto in Turchia.
    Non successe.
    Quando mancavano pochi giri di gara arrivai negli scarichi del leader, senza tuttavia riuscire ad avvicinarmi abbastanza per tentare un attacco: avevo chiesto al team di farmi passare, visto che ero io quella che lottava per il titolo, ma quell'opzione mi era stata rifiutata.
    Avrei potuto improvvisare e tentare qualcosa di impossibile, ma un secondo posto era troppo prezioso per rischiare di sprecarlo. Con i diciotto punti della seconda posizione mi portavo a duecentoventi e allungavo in classifica nei confronti di Fernando, anche se Sebastian accorciava il proprio margine: avevano entrambi quattordici punti in meno di me.
    I piloti McLaren, invece, si facevano sempre più lontani: Button era arrivato quarto alle spalle di Fernando e Hamilton era stato relegato per tutto il tempo in quinta posizione. Il campione del mondo 2008 salì a quota centonovantadue, mentre il campione del mondo 2009 aveva tre punti in meno di lui.
    Arrivai sul retro del podio prima dei miei colleghi.
    Controllai i risultati che passavano in sovrimpressione sullo schermo, notando che Schumacher era arrivato sesto. Più tardi avrei scoperto che era stato impegnato in un lungo duello con il suo compagno di squadra, che però era uscito di scena perdendo una ruota verso la fine del gran premio.
    L'idolo di casa Kobayashi aveva ottenuto un ottimo settimo posto al volante della Sauber, mentre Heidfeld, Barrichello e Buemi si erano accaparrati le ultime posizioni della zona punti.
    Alguersuari era giunto undicesimo, il peggio classificato dei piloti che non appartenevano ai "nuovi team". Il vincitore dello scontro tra questi ultimi, invece, era Kovalainen: l'ex pilota della McLaren aveva portato a casa un dodicesimo posto da record, venendo ripagato per il suo eroico tentativo di tagliare il traguardo con il motore in fiamme a Singapore, che aveva dovuto mettere da parte quando le fiamme si erano fatte troppo alte, finendo per parcheggiare la propria vettura in una via di fuga e per spegnere l'incendio lui stesso con un estintore che si era fatto passare da un commissario di percorso.
    Mentre rievocavo i trascorsi del pilota finlandese, Sebastian e Fernando mi raggiunsero. Il ferrarista non sembrava molto felice, d'altronde quando mai lo era, quando non vinceva?
    Lo ignorai, avvicinandomi a Sebastian.
    «Stavolta hai vinto tu» sibilai, «Ma ti conviene rassegnarti, perché non sarà niente così. Non mi interessa se il team mi rema contro, troverò comunque il modo di batterti.»
    Sebastian mi guardò storto.
    «Non mi sembra che il team ti remi contro, ma se preferisci pensarlo, fai pure. Però faresti meglio a parlarne con qualcun altro, io non posso farci niente.»
    «Avresti dovuto farti da parte» puntualizzai. «Per colpa delle tue manie di grandezza, Fernando o Lewis potrebbero raggiungermi in classifica.»
    «Anch'io potrei raggiungerti in classifica, se continuerai ad arrivarmi dietro.»
    «Se non ci fossero le telecamere, ti avrei già preso per le palle e appeso al muro.»
    Sebastian scosse la testa.
    «Tu devi avere qualche fissa strana con le mie palle.»
    A completare l'opera, Fernando ci raggiunse.
    «Di cosa parlate?»
    «Delle mie palle» rispose Sebastian, senza mezzi termini. «È quello che succede ad avere una compagna di squadra che ha perso completamente la ragione.»
    «Non ho perso un bel niente» replicai. «Mi sono solo rotta di avere a che fare con dei ragazzini che si sono messi in testa di stare sulla mia strada.»
    «Quelli che chiami ragazzini che stanno sulla tua strada sono tutti piloti di primo livello» mi ricordò Sebastian. «Gente seria, che gareggiava in World Series by Renault o in GP2 mentre tu non avevi un volante. Forse portare un po' di rispetto nei nostri confronti non sarebbe poi così sbagliato...»
    «Perché dovrei rispettarvi?» obiettai. «Avete avuto la vita facile, i soldi e gli sponsor. Se fossi stata sponsorizzata come voi, sarei arrivata molto più in alto. Invece mi ritrovo qui...»
    Sebastian mi interruppe: «Ti ritrovi qui, mentre stai per salire sul podio, dopo essere arrivata seconda al volante di una delle auto più competitive. Hai ottenuto vittorie e piazzamenti, sei in testa alla classifica. Hai superato abbondantemente le aspettative di chi diceva che eri uscita dal nulla e che, per quanto fossi veloce e talentuosa, non saresti riuscita a cavartela, avendo sempre gareggiato solo occasionalmente, come pilota part-time, quando trovavi gli sponsor necessari. Questo, però, non ti dà il diritto di trattarci tutti come delle merde.»
    «Invece sì, se siete davvero delle merde.»
    «Quindi è questo che pensi di me? Solo perché tu stessa hai perso il passaporto e io te l’ho riportato, sabotando una tua potenziale scopata con Jaime?»
    «Che cosa?!» si intromise Fernando. «Che cosa mi sono perso? Aggiornatemi!»
    «Stai zitto, stronzo» gli intimai. «Mi sono fatta prendere in giro per voi da mesi e mesi, ma adesso mi sono stancata. Se pensate che me ne stia a guardare mentre tentate di portarvi via il campionato, vi sbagliate di grosso.»
    Fernando sospirò.
    «E meno male che sono io, secondo l’opinione pubblica, quello che non accetta l’idea di potere essere battuto.»
    «L’unica differenza tra me è te e che io farò il possibile perché non accada» dichiarai, «Mentre tu ti trovi tutto servito su un piatto d’argento. Tu hai un compagno di squadra che collabora con te, io no, quindi devo comportarmi di conseguenza.»
    «Tu sei pazza, Tina» ribadì Sebastian. «Non so che cosa ti sia successo, ma...»
    Non lo lasciai finire.
    «È successo che, mentre tutti voi avete un sedile su cui appoggiare il culo il prossimo anno, io mi ritroverò a piedi. Il fatto che Jaime abbia raccontato i cazzi nostri alla stampa ha solo peggiorato le cose. E sai perché Jaime ha raccontato i cazzi nostri alla stampa? Perché tu hai avuto la bellissima idea di installarti nella mia stanza in mia assenza e Jaime si è fatto un sacco di film. Non solo hai rovinato la mia serata, a Singapore, ma con tutta probabilità hai anche rovinato la mia carriera. È una ragione sufficiente per avercela con te, mi pare.»
    Senza aspettare una sua replica, mi sistemai il cappellino in testa e mi avviai sul podio.
     
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